Ben Healy e il suo ciclismo cervello e gambe

Ben Healy e il suo ciclismo cervello e gambe

17/04/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Ben Healy è picco, secco e un po’ storto. Non è un esempio di stile, neppure un gran bel vedere in bicicletta a dire il vero. Non sempre serve l’estetica, a volte è un lusso che si concede il campione, perché se uno è forte forte non è male che sia pure bello bello. Se ne frega di tutto questo uno come Ben Healy, a lui interessa soltanto andare in bicicletta. E farlo nel miglior modo possibile. Il miglior modo possibile che conosce è quello all’attacco.

Non è uomo da gruppo Ben Healy, è un corridore che preferisce avere poca gente attorno, perché c’è niente di meglio che aver poca gente attorno quando si pedala. È questa l’unica cosa che sa per certo, del resto non gli interessa.

È uno scalatore? Boh, ma che importa; è un resistente con buono spunto veloce? Boh, ma che importa; è uno adatto alle classiche? Boh, ma che importa; è uno adatto alle corse a tappe? Boh, ma che importa.

Non serve capire a che categoria si appartiene, le categorie sono saltate, e Ben Healy tutto questo piace. Affrontare le corse davanti, stare nel gruppo buono, capire quando è il momento giusto per restare soli. Questo è quello che vuole fare, che vorrebbe fare.

Tipo all’Amstel Gold Race. Quando Gianni Vermeersch a oltre ottanta chilometri dal traguardo ha fatto in modo che la corsa si trasformasse in uno sparpaglio, lui era là davanti; quando Tadej Pogacar e Thomas Pidcock hanno provato a trasformarla in un tête-à-tête, lui ha rovinato i loro “amorevoli” piani. “È surreale essere riusciti a stare davanti con alcuni dei migliori corridori al mondo. Però quando ero lì e riuscivo a seguirli ho pensato ‘beh le gambe sono buone oggi’”, ha detto dopo l’arrivo. Ha aggiunto: “Ancor più surreale è stato essere riuscito a staccare anche Tom. Pazzesco”.

Stentava a crederci Ben Healy di essere arrivato secondo all’Amstel Gold Race. Potrebbe iniziare ad abituarcisi. Perché va forte Ben Healy, soprattutto ha una dote non comune: capisce subito come una corsa si dipana, sa dove stare, sa fare la cosa giusta al momento giusto.


Ben Healy all'Amstel Gold Race
Foto tratta dal profilo Twitter @EFprocycling

Sull’Eyserbosweg sapeva di non aver il cambio di ritmo di Pogacar e Pidcock, quindi ha accelerato appena dopo aver scollinato. Sul Keutenberg aveva capito che il ritmo dello sloveno sarebbe stato per lui impossibile da sostenere, quindi ha preferito non seguirlo, andare su del suo passo, che era passo buono, senza rischiare un fuori giri che avrebbe pagato dopo: infatti non l’ha pagato lui, l’ha pagato Pidcock, arrivato svuotato all’arrivo, in ogni caso al terzo posto. Mica da tutti, soprattutto a ventidue anni e alla seconda stagione tra i pro (sempre tra le file della EF Education-EasyPost), essere capaci di fare la cosa giusta al momento giusto.

È persona che sa analizzare bene costi e benefici e in poco tempo Ben Healy. Da sempre.

“Prima dei sedici anni ero entrato nell’accademia di sviluppo britannica per la mountain bike. Dopo un po’ però sono stato scartato, non andavo più bene. E così ho iniziato anche a pedalare con le biciclette da corsa. Ed è stato allora che ho scelto l’Irlanda”, disse all’Irish Times.

Poteva scegliere il passaporto inglese, è nato a Kingswinford vicino a Birmingham, ha preferito correre sotto la bandiera irlandese, “perché volevo avere la possibilità di correre di più”, perché “da lì arriva la mia famiglia, ed è grazie a mio padre se mi sono innamorato della bicicletta: mio padre (Brian Healy) amava molto le sue biciclette, pedalava sempre, mi ha ispirato, anche se non mi ha mai spinto a correre, è qualcosa che è venuto da sé, mi è piaciuto sin dal primo momento e ho sempre amato farlo, nonostante tutto, fatica, sacrifici…”.

Ben Healy è un altro dei “figli ciclistici” di Martin O’Loughlin, l’uomo che ha ristrutturato il ciclismo irlandese e lo ha portato davvero a un’età adulta, imponendo la sua visione delle cose che, in soldoni, suona così: non importa dove vuoi pedalare o con che bici, l’importante è che pedali, prima dove vuoi poi dappertutto. Una visione del ciclismo che ha un corollario: per avere corridori forti, una nazione deve fare il possibile per avere il maggior numero possibile di biciclette in strada, quindi serve investire in sicurezza stradale per poter sperare di avere grandi vittorie in sella.

Ben Healy è pronto ad accumulare vittore in sella. Intanto si gode la possibilità di correre Freccia vallone e alla Liegi-Bastogne-Liegi da battitore libero, prima di prendere il via alla sua prima corsa a tappe di tre settimane. Al Giro d’Italia proverà a capire cosa potrà fare nelle tre settimane (a cronometro è tutto tranne che fermo, ndr). Lui una cosa l’ha detta quasi un anno fa: “Più si fatica meglio è”.