
In memoria di Bruno Zanoni
07/11/2023È morto Bruno Zanoni, che fu maglia nera, ma soprattutto molto più. Una persona per bene, uno con cui si rideva
Bruno Zanoni diceva che lui era stato un buon corridore, “non un campione certo, ma un corridore buono senz’altro”, ma che se lo ricordavano per la maglia nera, per essere arrivato ultimo al Giro d’Italia. E questo ti fa incazzare?, gli chiesi. Lui guardò verso il cielo, poi sorrise. “No, non mi fa incazzare, anzi sono orgoglioso di essere arrivato ultimo a quel Giro, di aver indossato la maglia nera, perché a quel Giro la maglia nera la si indossava davvero, non era un modo di dire”. Una pausa, un altro sorriso. “Mi fanno incazzare quelli che ritengono gli ultimi dei falliti, dei brocchi, che li ritengono scarsi. Scarsi un paio di palle, vanno comunque il triplo di quelli che fanno i fenomeni a parole”.
Bruno Zanoni a quel Giro d’Italia – quello del 1979, il primo vinto da Beppe Saronni – arrivò ultimo, ma arrivò. E non era scontato. Cadde in una delle prime tappe, per giorni faticò a pedalare, ma resistette. Si trovò ultimo per caso, ci rimase per convenienza: “Oh, alla fine si parlava di me, c’avevo quella maglia lì, quella nera che era entrata nella storia del ciclismo, e tutti mi applaudivano. E poi erano soldi: un bel po’ di mila lire al giorno e cinquecentomila a Milano. Quando mai li avrei presi cinquecentomila in una botta sola”.
C’è nulla di sbagliato ad arrivare ultimi. C’è nulla di sbagliato perché “è una dimostrazione d’amore per la bicicletta, per il ciclismo. Hai pedalato per più tempo degli altri, vuol dire che ti sei divertito di più. E poi è un atto di dignità verso se stessi. Perché non molli, arrivi e ne se fiero. Sono arrivato ultimo a un Giro d’Italia? Sì e ne sono fiero”, mi disse dopo aver battuto il Record dell’Ora al contrario al Festival del ciclista lento. Un Record dell’Ora che si è inventato quel genio strampalato di Guido Foddis per premiare chi fa meno strada in un velodromo in un’ora di tempo. Bruno Zanoni quel giorno batté Gibo Simoni, uno che ha passato una carriera a cercare di vincere.
Bruno Zanoni non era un vincente, ma una tappa al Giro d’Italia l’ha vinta, ad Assisi nel 1978. Era soprattutto un corridore che dava tutto per gli altri, per aiutare a vincere chi aveva più talento. “Ero un buon corridore, ma accanto a me avevo corridori più forti. E quando è così devi essere onesto con te stesso e votarti alla causa altrui. Perché in fondo è giusto così, così insegna il ciclismo”.
Bruno Zanoni è morto ieri, lunedì 6 novembre 2023, a 71 anni. Dopo il ciclismo, aprì un albergo a Laigueglia e ogni anno non si perdeva un Trofeo Laigueglia e una Milano-Sanremo. E nemmeno le altre corse che gli passavano vicino. Chiacchierava con tutti, raccontava delle sue fughe, poche, e delle sue rincorse, molte, delle borracce passate, moltissime.
Quell’albergo “era figlio della maglia nera”, mi disse. “Dopo il Giro vennero i circuiti. Saronni e Moser ne corsero trentatré, io trentuno, due più di Gibì Baronchelli e addirittura venti più del mio capitano Roberto Visentini. E siccome a ogni circuito mi davano duecentocinquantamila lire, diventai ricco”, raccontò a Marco Pastonesi.
Bruno Zanoni era impossibile non volergli bene, aveva un passione contagiosa per la bicicletta che ti veniva voglia di salire in sella e pedalare anche se non lo si aveva mai fatto. Per Sergio Zavoli era la maglia nera con più talento assieme a Luigi Malabrocca e Attilio Pavesi. Per chi l’ha conosciuto era invece soprattutto Bruno Zanoni, un uomo per bene, uno con cui si rideva.
Bruno Zanoni era uno di noi, uno di quelli a cui non interessa pedalare forte, interessa pedalare e basta, perché andare forte è secondario, un’inutile orpello a qualcosa di già bellissimo e perfetto, la bicicletta.