Tracce di vittorie. Chi può sorprendere il ciclismo nel 2021?

Tracce di vittorie. Chi può sorprendere il ciclismo nel 2021?

16/01/2021 3 Di Giovanni Battistuzzi

Non sarà l’anno uno dopo la pandemia di Covid-19. Il ciclismo, come tutto il mondo, dovrà ancora adeguarsi alle bizze del virus. Alcune corse sono già saltate, altre ne salteranno, il calendario ciclistico mondiale subirà quasi sicuramente le conseguenze dell’emergenza sanitaria. Giovani alle prime armi (o quasi) con il professionismo e vecchi volponi del gruppo dovranno, loro malgrado, adeguarsi, abituarsi a ricalibrare programmi e preparazione a ogni possibile contrattempo. Lo faranno con un anno d’esperienza sul groppone, anche se rispetto al 2020, che era partito al modo di ogni precedente stagione salvo poi impazzire e autosospendersi da marzo a luglio, tutto dovrebbe essere meno caotico.

Ai protagonisti dello scorso anno quest’anno si potrebbero affiancare altri volti, altre storie, altri volenterosi del pedali pronti a scalare gerarchie, a provare a iscrivere il loro nome negli ordini d’arrivo di classiche e grandi giri. Non hanno vinto nel 2020, ma hanno creato le basi per farlo quest’anno.

#10 Max Kanter

  • 23 anni, professione: non solo velocista
  • Team DSM

Né Greipel, né Kittel, né Ackermann. Degli ultimi tre grandi velocisti tedeschi il corridore del Team DSM (fu Sunweb) non ha niente. Non la potenza del primo, non l’esplosività del secondo, non il colpo d’occhio e il colpo di reni del terzo. C’entra niente con loro, è un corridore più antico, alla vecchia maniera, nonostante abbia solo 23 anni (24 a ottobre) e sia alla terza stagione tra i professionisti. Max Kanter è tosto, resistente e indipendente: si arrangia con quello che ha, non ha bisogno di un pesce pilota, è uno che sa gestire le insidie della mischia. Olaf Pollack, che fu sprinter di buon livello e pistard eccellente, all’epoca del passaggio di Kanter dal Team-Brandenburg disse una cosa semplice: “Questo è forte forte. Uno di quelli che hanno bisogno di capire quanto sono davvero veloci. Perché è un corridore complesso, molto più di un velocista. Con uno così c’ho corso. Da avversario e da compagno di squadra”. Quel corridore era Erik Zabel. Di Zabel ha la capacità di resistere agli strappi e ai chilometri. L’anno scorso ha partecipato al suo primo grande giro, la Vuelta, e l’ha finita in crescendo: due terzi posti e più di uno sprinter di livello alle spalle.

Non ha ancora vinto tra i professionisti, può iniziarlo a fare dal 2021. Perché è un corridore che sa che “se non hai il talento dei campioni puoi cercare di ovviare a ciò con il lavoro e l’abnegazione. Molto lavoro, tanto lavoro, che non è mai troppo. Cavoli, vai in bici, il tuo lavoro è pedalare, cosa c’è di meglio”. Perché è un corridore che “sa ascoltare ed è curioso, cerca sempre di capire cosa fare e come migliorare”, ha detto di lui il suo allenatore al Development Team Sunweb durante la stagione 2018. Perché “so benissimo di non avere le capacità per battere gente come Ackermann in uno sprint di gruppo, ma molte volte gli organizzatori delle corse la fanno sudare ai velocisti la volata. E a me andare in salita non mi pesa affatto”. Ha soprattutto chiaro in mente cosa vuole: “Prima imparo, prima vinco e a me vincere piace. Il sogno? Beh, per uno come me la Sanremo”.

#9 Harold Tejada

  • 23 anni, professione: ascensore
  • Astana Premier Tech

Il primo anno nel grande ciclismo l’ha passato ad aiutare perché all’Astana gli avevano detto chiaramente che il ciclismo in Europa non è come in Sud America, è tutto un’altra cosa e lui aveva necessità prima di adeguarsi e poi di imparare. Questione di tattica. Lui era rimasto interdetto. Non per il ruolo da gregario, quello l’aveva accettato di buon grado, ma per l’avviso che aveva ricevuto. Le salite ci sono pure in Europa, le bici sono uguali, le squadre pure. Cosa mai ci poteva di così diverso. Per andar forte servivano le gambe, mica la tattica. Cosa voleva dire il direttore sportivo Dmitriy Fofonov lo capì nelle prime due tappe in Portogallo alla Volta ao Algavre quando rischiò di ritrovarsi a minuti dal gruppo per essersi distratto. Fece una faticaccia a rientrare che, disse, “non la dimenticherò”. Harold Tejada ha capito cos’è la tattica e ha capito soprattutto che per far bene nel ciclismo le gambe non sono tutto, ma solo una componente. Serve testa, autocontrollo, furbizia. Anche questo lo ha scoperto in corsa. Una mano di Luis Leon Sanchez sul suo braccio verso la cima del Col de la Loze per fermarlo. Qualche giorno prima aveva finito quindicesimo sul Grand Colombier dopo aver fatto un gran lavoro per Miguel Angel Lopez. Si sentiva bene e voleva riprovarci a fare bene quando lo spagnolo lo fermò. Dove vai? Resta qua. Usa la testa. La corsa è lunga e ogni volta che si può è meglio recuperare. Lui ha fatto cenno di sì e ha capito: lezione per il futuro.

All’Astana quest’anno Aleksandr Vlasov sarà il leader di un grande giro. Jakob Fuglsang di un altro. A lui toccherà aiutare il primo o il secondo. Ma non di solo aiuto sarà questo suo 2021. Perché se una cosa è certa in Astana è che in salita aiutare serve, ma attaccare è meglio. Tejada non vede l’ora di attaccare. In Colombia lo faceva sempre, anche se qualche volta saltava. Nel 2020 ha iniziato a capire come non saltare più.

#8 Matteo Badilatti

  • 28 anni, professione: in fuga
  • Groupama – FDJ

Si può avere 28 anni ed essere appena alla terza stagione tra i professionisti. Sì, se si ha iniziato tardi con la bicicletta e se si ha dato prima spazio allo studio e poi allo sport. Fino a 18 anni Matteo Badilatti, svizzero di Poschiavo, alla bici aveva preferito gli sci da fondo, poi ha pensato bene che la priorità non fosse pedalare ma darsi un’istruzione. Ha studiato, si è laureato in Economia Aziendale all’Università di San Gallo. In sella ci andava per rimettere a posto i pensieri: una valvola di sfogo. Poi, dal 2016, ha iniziato a capire che il ciclismo poteva essere non soltanto una passione da praticare nel tempo libero. L’anno dopo da poco più che dilettante si piazza settimo ai campionati nazionali svizzeri su strada. Il team austriaco Team Vorarlberg Santic (Continental) gli offre l’occasione di correre per davvero. Fa bene ovunque tanto che ad agosto passa a fare lo stagista alla Israel Cycling Academy (Professional). Dovevano essere pochi mesi – chi vuoi che tenga un 26enne che non ha mai corso? -, diventano oltre due anni.

Lo svizzero da neofita ha capito che stare in gruppo è un casino: quindi meglio la fuga. Pedalando in gruppo ha capito che le salite sono fatica: ma gli altri faticano di più, o se non faticano di più vanno molto spesso meno forte di lui.

Quando la strada sale non lo si stacca facilmente Badilatti: un po’ perché va forte, un po’ perché non se arrivi tardi a una cosa che ti piace un sacco hai meno voglia di mollare degli altri. Thibaut Pinot l’ha voluto con sé. Uno così, si sarà detto, meglio averlo al proprio fianco che da avversario. Se sarà così si metterà al lavoro, ma se gli lasceranno un po’ di spazio, uno come lui che la fuga la sa trovare, potrebbe levarsi facilmente il numero zero dalla casella vittorie.

#7 Alessandro Covi

  • 22 anni, professione: ruota inquieta
  • UAE – Team Emirates

Salite sì, ma meglio corte. Ognuno deve fare i conti con quello che ha in casa, o meglio nelle gambe. Poi chissà, c’è sempre tempo per aumentare raggio d’azione e di inclinazione, imparare ad ascoltare le cime, trasformare colline in monti e poi in montagne. La bicicletta permette qualsiasi cosa. Serve la propensione giusta però, apprezzare davvero la meraviglia di muoversi a un metro da terra. E lui “è intelligente, sa divertirsi, ha anche quella punta di pazzia che nel ciclismo è fondamentale. Poi anche a livello caratteriale è sempre allegro, un ottimo compagno di squadra”, ha detto Joxean Matxin, il general manager della UAE Team Emirates, a OA Sport. E vabbè che ogni scarrafone è bello a mamma soja, come cantava Pino Daniele, e che chi è in ammiraglia non può dare dello scarso a un suo corridore, ma Alessandro Covi ha dimostrato nella sua prima stagione piena tra i professionisti che quello è il suo posto e soprattutto che qualche soddisfazione se la può togliere. Perché è veloce, e questo non guasta, in salita va forte e le pendenze non le teme. La lunghezza un po’ sì, ma c’è modo di educare le gambe se proprio servirà puntare alla classifica. Correre alla giornata in Italia sembra ancora una bestemmia.

Covi alla giornata invece sembra trovarsi molto bene. E ci sono bellissime giornate sia nei giri di tre settimane, sia in quelli più corti, sia nelle classiche. Lui ha assaggiato gli ultimi due per ora. E ha iniziato ad assaggiare già qualcosa del meglio che c’è al nord, in quel mondo di pianure presunte e colline invisibili che nascondono pietre e verticalità. Ha già esplorato il Muur e non l’ha trovato troppo aspro. La Moskesstraat e non gli è parsa troppo amara. Ne scoprirà altre e potrebbe essere un piacere scoprirlo mentre le scoprirà.

#6 Mikkel Frølich Honoré

  • 24 anni, professione: raccoglitore
  • Deceuninck – Quick Step

Nel 2020 è stato soprattutto il corridore che ha fatto la proposta di matrimonio alla sua compagna prima della cronometro del Giro d’Italia, la Conegliano – Valdobbiadene. “La cronometro di Conegliano era l’unica tappa in cui lei riusciva a essere presente durante il Giro. Inizialmente avevo pensato di fare una proposta di matrimonio un po’ più “nascosta”, ma a causa della bolla in cui eravamo con la squadra, non sono riuscito”, ha confessato a Tuttobiciweb. Eppure Mikkel Frølich Honoré non è soltanto il corridore che ha fatto la proposta di matrimonio alla sua compagna prima della cronometro del Giro d’Italia. È molto di più. Un ciclista solido, completo, capace di difendersi su ogni terreno, andare forte ovunque. In salita dove più di una volta ha fatto da angelo custode a João Almeida; in volata dove si è trovato a fare da vagone di treno, pesce pilota e quando serviva pure da realizzatore finale; sugli strappi dove forse si trova meglio. È uno che si sa adattare, uno che se serve raccoglie pure le olive per il suocero, perché “il ciclismo è parte di un qualcosa più grande. La bici è scoperta, ti può portare ovunque, ma servono le basi per capire e apprezzare dove la bicicletta ti porta”, ha detto a Sporza. E lui continua a leggere, informarsi, guardarsi attorno. E raccogliere olive.

In due stagioni tra i professionisti non ha ancora raccolto nulla, ma ha fatto raccogliere a molti. Lavoro sporco certo, “ma è quello che fa in modo di farti capire come funzionano le corse. Tu incameri informazioni che saranno utili dopo”. Lui ha incamerato ovunque: nei grandi giri (due volte il Giro d’Italia), nelle Ardenne, nelle classiche italiane. Prima o poi gli toccheranno pure le Fiandre, dove aveva ben figurato da under 23. Lui prima di raccogliere continuerà un po’ a vagare: “Per capire lo sport, è importante conoscere il mondo, la cultura e la storia. Il nostro sport è molto più complesso di quanto possiate immaginare, non significa semplicemente salire su una bici e pedalare il più velocemente possibile”. D’altra parte non “è la conoscenza a rendere più facile l’esistenza”? Honoré deve solo sperare che Victor Hugo avesse ragione.

#5 Clément Champoussin

  • 22 anni, professione: scavalcare montagne
  • Ag2r Citroën Team

Il 2020 doveva essere il suo primo mezzo anno tra i professionisti. L’Ag2r lo voleva inserire nel World Tour con la delicatezza che si è soliti usare con le pietre preziose. Perché così lo considerano in Francia, un talento da far crescere, ancora acerbo forse, ma che potrebbe far divertire, e parecchio, oltralpe. Le buone intenzioni si sono scontrate con l’emergenza sanitaria e ciclistica. La pandemia ha accelerato i tempi e lo ha scaraventato prima del tempo tra i grandi. Lasciarlo ancora mezzo anno tra i dilettanti poteva voler dire non farlo correre e così Vincent Lavenu e compagnia hanno preferito farlo passare subito tra i pro. Clément Champoussin è allenato per otto mesi senza correre perché fuori dalle caselle della squadra per le corse di inizio stagione. Il numero sulla schiena lo ha iniziato a mettere ad agosto al Tour de l’Ain. Inserimento subito positivo nonostante qualche intoppo (e qualche ritiro), sulla strada ha dimostrato di avere numeri buoni e su ogni terreno.

Il ventiduenne ha spunto veloce e soprattutto ha capito velocemente come si sta in gruppo, cosa si deve e cosa non si deve fare, dove è meglio non stare. In salita va forte, a cronometro se la cava niente male. Ha finito la Vuelta dimostrando che le pendenze non lo infastidiscono, anzi. Sulla Covatilla ha pagato dazio, ma non è cosa preoccupante per un corridore che, dicono dalla squadra, “ha ancora un potenziale sconosciuto. I suoi dati sono in continuo miglioramento”.

L’Ag2r dovrebbe fargli correre un grande giro quest’anno: mezza spalla di un capitano e mezzo battitore libero. Ma attenzione anche alle classiche. Ha le caratteristiche giuste per fare bene anche nelle Ardenne.

#4 Mikkel Bjerg

  • 22 anni, professione: treno
  • UAE Team Emirates

Il tempo per lui è stato sempre pari, un quattro quarti ma accelerato. Nelle cronometro funziona così: serve costanza, ritmo, controllo totale di quello che si sta facendo, idee chiare. Non ci si improvvisa contro il cronometro. Lui le idee chiare ce le ha: “Penso di essere tra i migliori dieci al mondo a cronometro, ma voglio diventare il migliore e questo mi motiva”, aveva detto a Cyclingnews lo scorso inverno, prima del suo debutto stagionale. Correndo ha dimostrato di non essere poi così distante dai primi dieci al mondo. Mikkel Bjerg è uno che le cosa non le fa a caso e non parla tanto per parlare. Alla Hagens Berman Axeon, la squadra dalla quale è passato alla UAE, ne ricordano la pignoleria, lo studio attento dei dati delle sue prestazioni e di quelle di compagni e avversari. Soprattutto si ricordano la sua attenzione e pazienza nel tentare di migliorare i suoi difetti. Perché se c’è una cosa che lo fa incazzare è quella di ripetere gli errori commessi.

Mikkel Bjerg di errori nella sua prima carriera da professionista ne ha commessi. Ha sbagliato a impostare la cronometro mondiale di Imola, ha dosato male le energie in quella del Giro d’Italia, la Conegliano-Valdobbiadene. Ha capito che deve raffinarsi e limare qualcosa del suo impeto. Si è accorto soprattutto che non di sole cronometro è composto il ciclismo. Ha iniziato ad apprezzare le fughe, si è accorto che le salite non troppo lunghe non gli sono davvero ostiche. E si è messo al lavoro per cercare di evolversi, di adattarsi anche alle corse contro gli altri e non solo contro il tempo.

#3 Ethan Hayter

  • 22 anni, professione: più che velocista
  • Team Ineos Grenadiers

Gli anni in pista gli hanno gli hanno fatto affinare soprattutto due caratteristiche: velocità e capacità di guidare la bicicletta. Il resto ce l’ha messo lui: gambe e voglia di fare. L’anno scorso ha iniziato con la pista, ha finito con la strada. Andrà così più o meno anche quest’anno, ma poco cambia. “Che si sia in un velodromo o in giro per il mondo una cosa sola bisogna fare: pedalare”. Per Ethan Hayter non conta dove deve correre, l’importante è correre e cercare di farlo più veloce degli altri. E lui veloce lo è molto. Ma non velocista, molto di più. Sui terreni mossi dà il suo meglio, l’acido lattico lo sopporta bene. Le salite non lo preoccupano: “Si scala un rapporto e si va via in scioltezza”. Degli avversari ha la giusta considerazione: “Meglio quando sono dietro”. E tra gli avversari sa sgusciare: “Corro in una squadra con grandi campioni per le corse a tappe, è impensabile che i compagni si occupino pure di me”. E poi in pista vale la regola del fare da soli.

L’anno scorso ha vinto il Giro dell’Appennino. Quest’anno ha l’obbiettivo dell’Olimpiade: inseguimento a squadre e omnium. Ma non disdegnerà la stagione su strada. Si vorrebbe prendere qualche soddisfazioni in volata, “ché l’adrenalina di uno sprint è incredibile”, ma non di sole volate vive un ragazzo che vorrebbe conquistare tutto ciò che c’è da conquistare. Anche perché, a quanto dice Tim Kerrison, il capo dei preparatori del Team Ineos, “nulla gli è davvero precluso”. Chi lo ha allenato nelle giovanili federali britanniche concorda su un punto: “Alla sua età né Thomas, né Wiggins erano così forti”.

Hayter aspetta il suo tempo, rispetta il suo posto in squadra, spera di ritagliarsi il suo spazio. Nelle volate certo, ma anche, e forse soprattutto, nelle classiche. Quelle da ruote veloci, quelle da specialisti degli strappi, fosse per lui pure quelle sulle pietre. “Nei velodromi ho passato molto tempo, ma quello che mi piacerebbe visitare più di tutti è quello di Roubaix”.

#2 Thymen Arensman

  • 21 anni, professione: adattatore
  • Team DSM

A vederlo giù da una bicicletta, alto e secco com’è, non ce lo si può immaginare proprio a pedalare. A vederlo in sella, curvo e ciondolante com’è, non si può proprio credere che possa andare forte. Eppure su di una bici ci pedala davvero e pure velocemente. Soprattutto, su ogni terreno. Non è veloce, ma sa trovare tempo e pertugi. Non è uno scalatore puro, ma non molla, sa dosare energie e ritmo. Non è uno scattista, ma le pendenze a due cifre non lo infastidiscono. Non è un cronomen, ma sa mantenere velocità elevate a lungo. Thymen Arensman non è tante cose forse, ma quello che non è lo sa diventare, perché in fondo è un po’ come la bicicletta: trasformazione. Pedalava di potenza, ora di agilità; si estraniava dalla corsa, ora è attento all’evolversi della gara; era un attendista, ora si è innamorato dell’attacco.

La prima volta in fuga ci è finito quasi per caso. Era il 24 ottobre 2020, quinta tappa della Vuelta. Era andato davanti per osservare la situazione e si era ritrovato nel gruppo buono. E già che c’era ha continuato. E continuato bene: terzo sotto lo striscione di Sabiñanigo dietro a Tim Wellens e Guillaume Martin, non due qualsiasi. Da quel giorno ha continuato a cercare l’avventura, a diventare lepre da cacciare. “Mi sono divertito molto, non mi aspettavo neppure di essere selezionato. Ero partito per capire come si affronta un giro di tre settimane, ero incerto, poi mi sono lasciato andare. E più passavano i giorni più mi sentivo meglio. Certo ero stanco, ma lo erano anche gli altri”.

“Chi è sveglio, impara in fretta”, dice da sempre il ds del Team DSM Luke Roberts, “e lui è sveglio”. Si adatta alle dinamiche di gara, agli avversari, sa quando non deve forzare e quando lo può fare. E lo può fare in molti modi. Vorrebbe mettersi alla prova al Giro d’Italia perché “il Giro è molto più rilassato del Tour de France. Durante il Tour tutti sono sempre troppo tesi. E poi il Giro ha anche tappe un po’ più lunghe, insomma quelle più adatte a me”. Più adatte a un diesel come lui, uno che forte forte non è mai partito, ma che alla lunga sa come recuperare il tempo perso: “Nel mio prima anno da professionista ho imparato soprattutto una cosa: bisogna attaccare, sentirsi braccato è una cosa meravigliosa, che ti fa andare più forte”.

#1 Tom Pidcock

  • 21 anni, professione: pronto a tutto
  • Team Ineos Grenadiers

Fosse solo per lui correrebbe ovunque, su qualsiasi mezzo purché sia a pedali. “Strada, pista, ciclocross, mountain bike cambia poco. La bicicletta è una e funziona allo stesso modo ovunque. Tocca solo capire come stare in piedi. Il resto è semplice: tocca far girare le gambe velocemente”. Fosse solo per lui esplorerebbe il reale. “La bici è una fortuna, ti fa vedere i luoghi che attraversi. Non succede per nessun altro mezzo di trasporto”. Fosse per lui cambierebbe spesso. “Mi hanno insegnato che divertirsi è la cosa più importante. Quando inizio a stufarmi di qualcosa, passo ad altro. Facendo tante discipline ci si diverte di più”. Per questo si è preso tempo. Voleva correre libero ancora un anno. Poteva passare tra i professionisti l’anno scorso, ha detto no grazie, ci vediamo nel 2021, perché Tom Pidcock sa che c’è un tempo per ogni cosa e il suo era quello di togliersi tre soddisfazioni che per una cosa o per l’altra gli erano sfuggite. Il Giro d’Italia under 23 lo ha vinto. Il Tour de l’Avenir e la Ronde van Vlaanderen Beloften (la riduzione per giovani del Fiandre) invece non li ha potuti nemmeno correre: annullati per pandemia. Ci teneva a ritornarci per cancellare dalla mente le delusioni del 2019: due ritiri.

Contro i professionisti c’ha già corso al Mondiale di Imola anche se questo è il suo primo anno tra i grandi. L’inverno l’ha passato in sella a una bici di ciclocross. Si è divertito a darsele con Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert. A Gavere si è tenuto dietro il campione olandese. Quasi sempre ha dovuto inseguire, ma “giusto così, ci sta: loro sono due fenomeni”.

Quest’anno esplorerà le pietre delle Fiandre, gli sterrati della Toscana e le strade verticali della Spagna. Un assaggio di tutto per capire cosa gli piace di più, dove si trova meglio.

#BonusTrack Chris Froome

  • 35 anni, professione: voglia di rivincita
  • Israel Start-up nation

A fine del 2019, mentre cercava di ritornare a essere un corridore dopo la caduta nella ricognizione della cronometro del Giro del Delfinato, aveva detto che il 2020 sarebbe stato come un nuovo debutto tra i professionisti. Questa sarà la sua seconda stagione. I quattro Tour de France, la doppietta alla Vuelta, il Giro d’Italia vinto fanno parte del passato, di un altro Chris Froome, quello che era convinto, e forse a ragione, di essere il più forte corridore al mondo per le corse a tappe.

“Mi sono concentrato molto questo inverno per affrontare davvero alcuni degli squilibri e delle debolezze che mi ha lasciato in dono l’infortunio”, ha detto al Jerusalem Chronicle. “Mi sento davvero ottimista per la prossima stagione”, ha poi aggiunto, spiegando di aver compreso finalmente l’importanza di prendere i contrattempi con serenità, affidarsi al tempo, concederselo per riprendere a fare “ciò che amo: pedalare senza pensieri, senza fastidi”.

Una anno perso dopo i trenta, per Alfredo Martini, “è un problema enorme, due sono una sciagura”. Froome ne ha perso uno e mezzo. Passati, “non perduti”. Il keniano d’Inghilterra dice di essersi riposato, di aver ripreso man mano la forma, di aver fatto una cosa che aveva scordato: “Lavorare duro per gli altri”. L’ha fatto alla Vuelta, gregario di Richard Carapaz. E lo ha fatto a lungo. Mica semplice per uno che ha vinto tutto mettersi al completo servizio di chi ha vinto meno. Dice Froome di aver “ritrovato entusiasmo”, che “nel meno si comprende meglio il più”, cioè cosa si è perso e si vuole ritrovare.