
Le nuove vette di Anton Palzer
24/04/2021Anton Palzer dice che la montagna ce l’ha nel sangue. Cosa abbastanza comprensibile per uno che da quando è nato ha visto ogni giorno le vette delle Alpi che solleticano il cielo tra Baviera e Austria. Ha iniziato ad esplorarle da bambino, le ha risalie e discese in ogni modo, a piedi, sugli sci, in bicicletta. Ha visto che gli veniva bene uguale in tutti i tre i modi. Poi si è dedicato alla seconda per professione, alla prima per sfida, alla terza per passatempo. Nello sci alpinismo si è tolto più di una soddisfazione: ha vinto una coppa del mondo di Vertical race (che altro non è, a farla semplice per, che una sorta di cronoscalata sugli sci), ha rischiato di vincerne due generali (la classifica che tiene conto di tutte le discipline dello ski mountaineering), è salito un paio di volte sul podio ai mondiali.

Nel frattempo, dato che lo sci alpinismo è cosa invernale, passava l’estate a pedalare e a correre. Un po’ per non perdere confidenza con la fatica, un po’ per provare a trasformare l’estate in inverno, l’allenamento in vittorie. Nel 2016 conquistò la Red Bull Dolomitenmann (che è questa cosuccia qui). Quattro anni dopo, nel 2020, si cimentò nella traversata del Watzmann (23 chilometri quasi tutti sopra i 2.300 m di altitudine). Non era la prima volta che gli capitava, il Watzmann è casa sua, quel giorno però per completare la traversata ci impiegò meno di tre ore: record assoluto.
La montagna per Mario Rigoni Stern era “brevità, dignità e ardimento, cambiamento costante nella sua costante inalterabilità”. Per Anton Palzer non è poi diverso. Per brevità è diventato Toni, per dignità e ardimento è diventato atleta di montagna, e per cambiamento ha lasciato gli sci ed è salito in sella, trasformandosi da scialpinista in ciclista, ha abbandonato la neve e si è messo a scorrere sull’asfalto. E dato che la montagna è costantemente inalterabile ha iniziato la seconda pagina della sua vita sportiva dal Tour of the Alps con la maglia della Bora-hansgrohe.

Palzer in montagna ci si trova bene tanto che dice che non riuscirebbe a vedersi altrove, a vivere lontano. Non poteva che partire da questa corsa. E il Tour of the Alps l’ha anche finito, 47esimo a venti minuti e cinquantadue secondi dal vincitore, Simon Yates. “Sta andando meglio di quanto io o i direttori sportivi ci aspettassimo. Sono sorpreso di essere riuscito ad andare avanti, a finire la corsa”, ha detto alla Sueddeutsche Zeitung al termine dei cinque giorni di corsa.
Mica semplice cambiare sport, soprattutto quando si è stati degli ottimi atleti in una disciplina, soprattutto a 28 anni. Ad Alessandro Autieri e Stefano Zago, su Al Vento, Palzer aveva detto “non so quanto tempo ci vorrà prima che impari davvero ad essere un ciclista professionista. Stare in gruppo, stare nella pancia del gruppo è molto complesso. Può incutere timore, ma il punto su cui focalizzarsi è un altro: puoi imparare sempre, puoi imparare qualsiasi cosa tu voglia. Puoi provarci almeno”.
Antoni Palzer sta imparando in fretta. Dopo la prima tappa il suo grande amico Lukas Pöstlberger ha detto a radsport-news.com di essere rimasto sorpreso dal suo rendimento: “È andato bene, è andato forte. Era la sua prima gara in gruppo e per di più si è andati subito forte. Ovviamente tutto ciò è stressante per chi non ci è abituato. Deve ancora imparare a gestire la corsa, a correre in mezzo al gruppo, ma sono cose che si apprendono solo correndo”.
Una cosa però Palzer l’ha capita: “L’importante è fare tabula rasa. La mia vita sugli sci è un passato che devo scordare quando pedalo. Nello sci alpinismo si va costantemente a ritmo elevato, vai quasi a tutta sempre, poi negli ultimi minuti vai oltre. Nel ciclismo tutto ciò è molto più variabile. Ci sono momenti in cui si va spediti, altri meno, quando si accelera per davvero si tratta di sopravvivere e basta. E sopravvivi solo se hai gestito bene i chilometri precedenti. Lo sci alpinismo non è tattico: si va al massimo, vince chi è migliore degli altri”, ha sottolineato alla Sueddeutsche. Martedì 20 aprile, sul Piller Sattel ha messo in pratica tutto questo: “Potevo stare con il gruppo buono per qualche chilometro in più, ma ho mollato e sono andato su del mio ritmo. Non potevo rischiare di piantarmi”.
Passo dopo passo. “Ha finito una corsa a tappe di cinque giorni, per di più dura come il Tour of the Alps. Una corsa nella quale ogni giorno c’erano migliaia di metri di dislivello. Non era scontato. Anzi, mi ha stupito. Era la sua prima gara in carriera”, ha detto a Girodiruota Mathias Ossell, per una decina di anni preparatore atletico nel ciclismo giovanile in Austria, da un lustro passato alla corsa in montagna. “Passare da uno sport all’altro, anche se in parte simili come sci alpinismo e ciclismo, è un percorso complicato. Va in pratica riformattato il fisico e in buona parte vanno riformattati anche alcuni percorsi neuronali. Ci vogliono anni per adeguare il proprio corpo e la propria testa. Spesso il corpo è pronto e la testa no, raramente succede il contrario”.
Per Ossell “Palzer ha un potenziale enorme a livello di dati fisiologici. Per trasformarli in ottimi risultati però ci vorrà pelo sullo stomaco. Correre in gruppo è stancante a livello mentale, servono mille occhi e capacità di capire dove è meglio stare. Ci sono corridori che questa capacità non la affinano mai, altri che questa dote ce l’hanno naturale. Sta tutto qui per il bavarese. Se riuscirà a imparare questo potrebbe già il prossimo anno togliersi qualche soddisfazione”
Ossell allontana subito qualsiasi paragone con Primoz Roglic. “Non possono essere paragonate le loro due evoluzioni sportive. Lo sloveno veniva da una disciplina molto diversa rispetto allo sci alpinismo e soprattutto era molto più giovane. Palzer ha già ventotto anni, ma ha una struttura fisica molto più adatta al ciclismo di quella di Roglic. Lo sloveno ci ha impiegato oltre quattro anni per raggiungere ottimi livelli, Palzer potrebbe essere più veloce, ma chilometri e corse dovranno passare”.
Anton Palzer sa aspettare, sogna le sue montagne, vette che si sono trasformate, che vivono ora d’asfalto, che scorrono più veloci sulla sella di una bicicletta. Vette che però hanno lo stesso fascino di sempre, “perché sono il meglio che posso desiderare”