I ciclisti sono una minoranza discriminata, “ma non interessa a nessuno”

I ciclisti sono una minoranza discriminata, “ma non interessa a nessuno”

02/11/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

• “Per essere presi sul serio tra i discriminati bisogna essere dei poveri cristi, dire di essere infelici. E i ciclisti non lo dicono, perché non lo sono”. Intervista all’ex Black Panther Barry Baulum


“Non tutte le minoranze sono uguali. E nemmeno le discriminazioni. Sembra che ce ne siano alcune più belle e interessanti di altre, per le quali è più nobile e corretto combattere. Probabilmente però è sempre stato così. Forse lo era anche quando io stesso lottavo per la causa della minoranza a cui appartenevo”. Barry Baulum vede il mondo protestare dalla sua casa appena fuori Lione. Il passato nelle file delle Pantere Nere, il presente a scrutare dove può andare a finire il Black Lives Matter. E poi le proteste per la disparità tra donne e uomini, quelle del mondo Lgbtq, quelle sul clima. “C’è un gran fermento, una voglia di cambiare. Ma mi sembra che qualcosa stia sfuggendo. Sabato stavo pedalando tranquillamente per andare a fare la spesa quando mi sono imbattuto in una protesta dei ciclisti urbani di Lione che chiedevano più sicurezza sulle strade dopo che due di loro erano stati ammazzati da due automobilisti. C’era un sacco di gente che li malediceva, che gli augurava cose orribili. La stampa della loro sorte se ne frega, online l’odio è molto. Per questo dicevo che non tutte le minoranze e le discriminazioni sono uguali. I ciclisti urbani sono una delle poche minoranze discriminate della quale non interessa nulla a nessuno. Eppure qui in Francia, ma pure in Italia e in gran parte d’Europa, gli automobilisti continuano a non vedere i ciclisti, continuano ad ammazzarli”.

La discriminazione nei confronti dei ciclisti

Una strage che non rientra nei programmi delle associazioni dei diritti umani e che molto spesso non viene tenuto in considerazione “da chi dice di lottare contro il cambiamento climatico. La bicicletta non solo è ecologica, ma è un mezzo che crea ricchezza e che non la dissipa. Ai ragazzi che manifestano fuori dal Cop26 di Glasgow vorrei dire di concentrarsi più sul piccolo, di mettere in pratica nel piccolo i loro grandi ideali. Non ho smesso negli anni di lottare contro le discriminazioni, ma ho imparato a farlo privatamente, cercando di far aderire la mia vita a un principio morale ferreo: quello di ritenere tutti uguali pur nelle loro diversità”. 

C’è un problema di narrazione nel caso dei ciclisti urbani. D’altra parte, sottolinea Barry Baulum, “per essere presi sul serio tra i discriminati bisogna essere dei poveri cristi, dire di essere infelici. E i ciclisti non lo dicono, perché non lo sono. C’è niente di più bello che pedalare, c’è niente di meglio della bicicletta per muoversi in città. Per questo i ciclisti urbani sono una delle poche minoranze discriminate della quale non interessa nulla a nessuno. C’è anche discriminazione nelle discriminazioni”. 

Eppure, sottolinea l’ex Black Panther, “i ciclisti sono tra i pochi che in molti paesi al mondo vedono ogni giorno i loro diritti calpestati, sono sopraffatti ogni due per tre dall’arroganza degli automobilisti che credono di avere il diritto esclusivo delle strade (com’era successo, tra gli altri, a un ciclista del Team DSM ad aprile). Pedalare vuol dire scontrarsi quotidianamente contro il regime militare delle automobili. Per cambiare le cose serve un profondo cambiamento nella mentalità delle persone. Serve far capire loro che la bici risolve i problemi, non li crea, e che muoversi in città dovrebbe essere qualcosa alla portata di tutti, non una guerra dove vince chi è più aggressivo o ha la macchina più grossa”.

La bicicletta ti toglie dai guai

La bicicletta Barry Baulum la scoprì in America, a New York. Per necessità. “All’epoca se eri nero e guidavi finivi nei casini. Se poi eri una Pantera… vi lascio immaginare cosa voleva dire. Pedalando portavo documenti e ordini in modo sicuro. Un paio di volte sono riuscito pure a togliermi dai guai”. 

Il ciclismo arrivò dopo, scoprendo Major Taylor, il primo grande campione americano della pista, uno che “se fosse stato bianco sarebbe stato già allora nei libri di scuola. C’è entrato dopo, ma come contentino. Il problema delle lotte contro la discriminazione è questo: il contentino”.

Nel nome di Major Taylor

Quel nome fu il suo lasciapassare per una nuova vita, quella che è nata nel 1974, quando a pochi mesi dall’addio agli States del compagno di lotta Huey Percy Newton, uno dei fondatori delle Pantere Nere, anche Barry Baulum fu costretto a scappare. La stessa accusa: omicidio. Infondata, come scrisse il Tribunale di New York nel 1982. “Ma la fiducia nel mio paese era già scemata. Le Pantere Nere avevano perso e ormai la mia vita era altrove”. Prima Utrecht, raggiunta in nave sotto pseudonimo: Major Taylor. “Era un grande Major Taylor, uno dei più grandi campioni della storia. Non se ne accorse nessuno. Negli anni Settanta la bici era cosa da neri, il ciclismo cosa da archivisti”. 

Major Taylor e Léon Hourlier al velodromo Buffalo di Parigi nel 1909 (foto Wikimedia Commons)

I Paesi Bassi erano la terra dove aveva trovato casa parte della sua famiglia: “Mio fratello era un musicista, suonava che era una meraviglia. Arrivò a Utrecht nel 1970 in tournée con Miles Davis, non se ne andò più da lì: si innamorò di una ragazza che era un incanto. Due anni dopo a Utrecht ci finirono pure le mie due sorelle: una per fare la ricercatrice all’Università, l’altra per insegnare inglese nelle scuole. Tre grandi teste, i miei fratelli. Poi ci arrivai io, la pecora nera della famiglia, in fuga dalla giustizia per un reato che non avevo commesso. Ma ero un Black Panther e a essere sinceri non ero stato proprio un agnellino sino allora”.

Da lì a Parigi, “per la lotta politica nelle banlieue”. Poi Lione, per amore. “Mi innamorai di una ragazza svizzera, ma di origini armene. Il nostro amore dura ancora. Per lei mi sono trasferito in campagna, proprio io che sono nato e cresciuto e ho sempre pensato di morire in città. È andata così e sono ancora felicissimo. La campagna mi permette di pedalare tranquillamente e pedalare mi rimette al mondo quando la rabbia salta fuori di nuovo. È un brutto mostro la rabbia, può essere utile, ma va gestita e per gestirla devi fare in modo che ti escano dal corpo le tossine che ti lascia dentro. Io la sudo via su una mountain bike”.  

La rabbia lo prende ancora quando gli giunge l’eco lontana di quanto accade nei suoi Stati Uniti, ma non ha nostalgia della sua terra e non sente l’esigenza di tornare, di riprendere quello che aveva dovuto interrompere. “È allo stesso tempo affascinante e preoccupante quanto sta accadendo nelle società occidentali in questi anni. C’è un’attenzione maggiore per chi è sempre stato considerato marginalità. Parlo di minoranze etniche e sessuali, di chi è stato al centro del mirino dei razzismi. Stanno ottenendo voce e spazi. La speranza è che non accada ciò che temo, ossia l’inversione delle parti, ossia che i discriminati si trasformino in discriminatori. Già ai miei tempi in diversi sono scivolati su questa macchia d’olio. Spero possano sudare via anche loro le tossine della rabbia”.