L’affascinazione del Ciclocross

L’affascinazione del Ciclocross

08/01/2021 1 Di Giovanni Battistuzzi

È funambolismo ed equilibrismo, ma prima di tutto agile potenza. A volte “una planata sul fango, ossia il sogno di ogni ragazzino, o almeno così lo era per me”: Eric De Vlaeminck, campione del mondo nel 1968. Ma anche “una cagata mostruosa”: Jacques Anquetil, che al di là delle parole però ogni tanto ci si cimentava. “Una questione di gusti”, molto più democristianamente disse Hugo Koblet. È “fango, tanto fango, un mondo di fango, se va male. Se va bene è un freddo cane e terra che sembra marmo. E non so se è davvero un bene. Quindi andrà male in ogni caso. Ma vuoi mettere?”, sentenziò Roger De Vlaeminck. È “meglio da fuori. Una festa magistrale, fiumi di birra e griglie fumanti a ogni ora. Notte e giorno”, suggerì Roberto Betton, che in bici ci pedalò con scarsi risultati negli anni Ottanta, ma che dagli anni Novanta ha preso la buona abitudine di salire in camper per passare almeno una settimana in Belgio: “La mia settimana santa”.

Il ciclocross è molte cose, soprattutto un celamento. “La polvere e il fango danno vita e mistero alle biciclette. Nascondono e rendono evidente. Il ciclocross è un affascinante viaggio all’interno del colore, dello straordinario fascino della bicicletta”, scrisse Mario Schifano.