L’Eroica 2023. Un’Eroica libertaria

L’Eroica 2023. Un’Eroica libertaria

01/11/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Come è andata L’Eroica 2023? Viaggio sregolato e (forse) illegale tra gli sterrati del Chianti contravvenendo a ogni convenzione


Robert – sì Robert senza la O finale che all’epoca, nei primi anni Settanta, almeno nelle grandi città, e Robert senza la O finale era nato a Milano, faceva figo chiamare i figli all’americana – un giorno mi disse che “non sempre le cose vanno fatte proprio come le si dovrebbero fare. A volte serve sbattersene alla grande, fare le cose come vengono, eh…”. Lui faceva così. Diceva di fare così.

Faceva l’edicolante, Robert senza la O finale, e c’aveva una bella edicola, di quelle con pure i libri, a Trieste e quando andavo a prendere il giornale non lo trovavo mai nella posizione nel quale l’avevo trovato la volta prima. “Ti ho spiazzato eh…”. Finiva sempre le frasi con dei puntini di sospensione. Sempre. “Così ha un senso il mio lavoro, glielo devo passare io il giornale, così eh…”, diceva. Il Piccolo non era mai il primo e il Corriere della Sera mai secondo. La Gazzetta dello sport non sempre stava coi giornali sportivi. A volte sì, a volte no. A seconda di come si svegliava, credo.

Robert senza la O finale andava alla sua edicola con una bicicletta. Non aveva UNA sua bicicletta, ne aveva quattro, forse cinque, quattro senz’altro. Le cambiava a seconda di come si svegliava, alla stessa maniera dei giornali. Si poteva essere mai sicuri di come si sarebbe svegliato, di che umore almeno, che a svegliarsi si svegliava sempre, più o meno. E sempre era puntuale alla sua edicola.

Una volta disse che la sua bicicletta preferita era la sua Peugeot, “è bella eh…”, perché era francese e i francesi ci sapevano fare con tutto, con i vini, coi formaggi, pure con le biciclette. Avevo mai conosciuto uno a cui piaceva la Francia, la gente che avevo conosciuto e con cui, in un modo o nell’altro, andavo d’accordo dicevano che i francesi erano delle merde. Io c’avevo avuto mai nulla contro i francesi, avevano inventato il Tour de France, la Parigi-Roubaix, Robespierre, non potevo che voler bene alla Francia. Pensavo di essere il solo, poi ebbi la fortuna di conoscere Robert senza la O finale.

È da anni che non vado a Trieste, in un modo o nell’altro mi manca. È da anni che non vedo Robert senza la O finale. Però Robert senza la O finale mi è venuto in mente mentre stavo percorrendo la strada che mi avrebbe portato da Roma a Siena e poi a Gaiole in Chianti per L’Eroica.


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È un bel casino la mente, ho rinunciato anni fa a capire perché a volte si palesano certi ricordi. A essere sincero me ne frega assolutamente nulla del perché ho pensato a Robert senza la O finale. Qualche ragione doveva esserci, ma non so quale e non me ne importa. La mente è mia e la gestisco io.

Però mi è ritornato in mente. E aveva ragione lui, Robert senza la O finale, non certo la mia mente.

Quest’anno all’Eroica non sarebbe stato diverso da ogni anno passato, se non fosse stato per Robert senza la O finale.

Nei giorni, nelle settimane, che precedevano la mia salita a Gaiole in Chianti mi ero trovato a pensare, a immaginare, cosa avrei potuto fare per raccontare in modo più o meno interessante L’Eroica 2023. Avevo un sacco di idee da realizzare e progetti da portare a termine. Fa parte del mestiere che ho deciso o forse mi è solo capitato di fare. E l’ho sempre fatto in modo professionale, cioè mi sono sempre preparato, ho immaginato scenari, li ho poi messi giù su un foglio digitale grazie a tasti reali.

Mi ero organizzato e avevo programmato di fare diverse cose. Non è male organizzare e programmare. Ha un pregio: rende le cose più semplici. Certo non tutto può essere organizzato e programmato, e, si sa, va sempre a finire che tocca farsi trovare pronti a improvvisare. Avere però un canovaccio, uno spartito minimo, aiuta. Indipendentemente da tutto, dagli imprevisti, dalle lacune – ci sono sempre – del lavoro di preparazione.

E così a Gaiole in Chianti, anche quest’anno, c’ero arrivato con un po’ di idee, con tante cose da fare. Che c’è solo mica la bicicletta o da pedalare all’Eroica. Certo la gente ci va per questo, per le biciclette e per pedalare, ma chi va lì per raccontare l’evento e quello che accade nei giorni della manifestazione, c’ha anche altro da fare, molto altro da fare.

Quando sono arrivato a Gaiole in Chianti avevo molte idee, alcune buone, altre forse meno. Avrebbe deciso la corsa quale fosse il caso di seguire e approfondire. Tanto va sempre così, sono sempre stato convinto che è meglio adattare le idee agli eventi, permettere a questi di modificarle almeno parzialmente. Questo metodo ha sempre funzionato. E se qualcosa ha sempre funzionato c’è da credere che può funzionare ancora.

Non ne ho seguita una.

Ma nemmeno mezza. Anzi mezza sì, ma più che altro l’ho raccattata che passava per strada, davanti a me, e m’ha permesso di dire e di dirmi che in fondo il mio dovere l’ho fatto.

“Non sempre le cose vanno fatte proprio come le si dovrebbero fare. A volte serve sbattersene alla grande, fare le cose come vengono, eh…”.

Ma senza l’eh finale con annessi puntini di sospensione.

Sono mai andato troppo d’accordo con i puntini di sospensione. Quando scrivo non li metto mai, o quasi. E quando mi ritrovo a rileggere qualcosa che ho scritto, capita quasi mai, e ci trovo i puntini di sospensione, bestemmio qualche santo. La mia educazione cattolica non è servita poi troppo, mi ritrovo più vicino ai protestanti, non mi piacciono troppo i santi, a eccezione di San Francesco che poverino si è trovato con due basiliche sopra il corpo nonostante avesse soltanto chiesto di “deporre nudo sulla nuda terra” il suo cadavere. Ogni volta che sono andato ad Assisi, ben poche volte in realtà, mi è venuto in mente questo e ho provato un’insana voglia di spaccare tutto, pure gli affreschi di Giotto.

Non ho la minima idea del perché mi sia venuto in mente Robert senza la O finale mentre stavo salendo da Roma a Siena e poi a Gaiole, ma devo ammettere, e solo ora, che Robert senza la O finale aveva ragione. “A volte serve sbattersene alla grande, fare le cose come vengono”. E non aggiungo l’eh con i puntini di sospensione.

Gli ho dato ascolto questa volta a Robert senza O, e chissà come sta Robert senza la O. Le cose uno deve accettarle per come vengono ogni tanto, senza stare ad ascoltare quelli che sostengo che bisogna rispettare sempre il detto faber est suae quisque fortunae. Mica è sempre vero.

C’è qualcosa di affascinante nel pedalare con la mente sgombra dalle locuzioni, latine o brocciane non cambia nulla. “La bellezza della fatica e il gusto dell’impresa” è talmente affascinante e saggia che viene voglia di non rispettarla.

C’è nulla di bello nella fatica, io almeno non c’ho mai trovato nulla di bello. E sì che non farei mai a meno della bicicletta. Il giorno che non potrò andare in bicicletta potrei spararmi. Sono nato negli anni Ottanta, su di me ha ancora un certo fascino il finale violento.

Non c’ho mai trovato nulla di bello nella fatica, eppure non potrei fare a meno della fatica. Mi piace correre a piedi, soprattutto in bicicletta. E quelle rare volte che andavo in posti con la neve, e forse nemmeno Dio sa quanto vorrei stare lontano dai posti con la neve, non scendevo le montagne con gli sci, al massimo mettevo quelli da fondo. Fortuna è durato poco.

C’ho mai avuto problemi con la fatica, ma su di una bicicletta non mi ha portato il piacere della fatica. Mi ci ha portato la bicicletta e basta, il piacere e basta, quella libidine pazzesca di pedalare, indipendentemente dalla fatica. Perché in fondo sono un drogato, mi piacciono le endorfine e la bicicletta mi dà la dose migliore. Mi rende felice e senza troppi effetti collaterali, certo un po’ di scimmia, di crisi di astinenza, ma costa di meno e dà più soddisfazioni.

Ognuno ha la droga che si merita.

Il mio viaggio lisergico me lo faccio pedalando, al modo di Albert Hoffmann il 19 aprile del 1943, ma senza nemmeno bisogno dell’LSD. E tutto questo è un po’ da sfigato, ma sono abituato a non essere tra i fighi, non lo sono mai stato, me ne sono fatto una ragione.

Quest’anno all’Eroica ho provato a vendere amfetamine che non avevo. Qualcuno c’è pure cascato, quando ho fatto finta di fare sul serio s’è pure preoccupato. La sua faccia che svolta dall’ilarità alla preoccupazione e poi ancora allo smarrimento, la sua testa che gli suggeriva di dire qualcosa, di fare qualcosa, ma la sua lingua e le sue gambe non fanno nulla, si ribellano agli imput. Sicuramente avrà pensato che se ne poteva stare zitto, che sua mamma glielo aveva detto di non accettare nulla dagli sconosciuti, soprattutto amfetamine. Servirebbe rincuorarle le madri sulle amfetamine: c’è di peggio (e non si sta parlando della bomba dei tempi di Coppi e Bartali. Ah, qui se vi può servire c’è la ricetta, anzi, una ricetta). Probabilmente però già lo sanno. C’è stato un momento tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta dove si ingollava di tutto e in gran quantità. E parte di quello che si ingollavano era amfetamine. Si studiava a benzedrina costante, si avevano idee alla simpamina, si dimagriva a forza di efedrina. Mi fa sempre parecchio sorridere quando si parla della depravazione dei giovani d’oggi.

Non so se c’è il reato di millantato spaccio, o meglio di millantata cessione di sostanze stupefacenti. Legge e sbirri su certe cose sono precisi, un po’ meno a fare di conto degli etti e dei chili che sequestrano. Ce n’è sempre un paio che chissà come non si trovano. E non lo dico così tanto per dire.

Anni fa, mentre stavo pedalando solo soletto, incontrai un tizio che faceva l’informatico per il Tribunale di Roma e anche in alcune sedi della polizia giudiziaria. Chiacchierammo un po’. Non parlava molto, io neppure, per questo andammo subito d’accordo. Ci ritrovammo parecchie volte in giro. Una volta, sempre mentre pedalavamo, mi raccontò della sua passione per i numeri e soprattutto per la creazione di database. Che uno di questi lo aveva venduto al tribunale per facilitare le operazioni di ritrovamento delle cose sequestrate. Avendolo fatto lui conosce tutto, quindi quando è in sede, c’è sempre qualche agente che sembra l’ispettore Coliandro che gli chiede un aiuto. Una volta il Coliandro di turno non capiva perché nel database c’era scritto che c’erano 1,5 chili di coca da mandare all’inceneritore giudiziario, ma l’inceneritore giudiziario aveva mandato il certificato di smaltimento di 1,2 chili di coca. Il Coliandro di turno aggiunse che questo capitava spesso.

Forse capita come all’Eroica, ognuno si porta a casa sempre qualche etto di polvere degli sterri, ma non per questo il sindaco di Gaiole in Chianti e degli altri comuni si arrabbia o lo fa pesare.

L’amico amante dei database quest’anno doveva fare la sua prima Eroica, ma la settimana prima ha pensato bene di fare un po’ di downhill e lasciare su di un tronco d’albero clavicola e scapola. Gli ho portato una borraccia come pensiero, ma non credo l’abbia gradita.

L'Eroica 2023 vino

Provare a vendere amfetamine all’Eroica comunque non è una grande idea. E non perché farlo sarebbe illegale, è che il mercato potenziale è esiguo, probabilmente nullo. Chi pedala all’Eroica preferisce il vino rosso, io stesso preferisco il vino rosso, e oltre al vino rosso vanno molto i salumi, i formaggi. Per qualsiasi altra sostanza c’è poco o nullo interesse. Si corre a lungo con a lato vigne su vigne, viene sempre una certa voglia.

I miei numerosi tentativi di smercio, a eccezione del tizio che se la stava prendendo a male, sono risultati vani. Riproverò alle granfondo, lì forse il mercato è migliore.

L’Eroica però non è una granfondo e chi pedala lo fa con altro spirito e della competizione non frega nulla a (quasi) nessuno. Nessuno dice vado all’Eroica a correre. Tutti dicono vado all’Eroica e basta. C’è (quasi) nessuno che va a Gaiole per andare forte, anche se, dopo aver passato il traguardo, ho sentito di gente che si lisciava il pelo davanti agli amici sostenendo, con fare tronfio, di aver migliorato di quasi due minuti il tempo sulla Volpaia. C’è da starci lontani delle miglia da gente così. E poi dicono degli spacciatori.

Quest’anno la Volpaia non l’ho nemmeno fatta. E sì che avrei dovuto. C’era sul percorso della ottantaepassa chilometri.

Il percorso della ottantaepassa chilometri dell’Eroica però è fatto, circa a otto. E in mezzo a quell’otto ci sono un paio di chilometri da ripetere. Nell’assenza di regole che ci siamo dati per regola io e Carlo, che ho trovato come apparizione – abbastanza incazzata a dire il vero –, al castello di Brolio, era prevista la possibilità di trasgredire anche il percorso ufficiale. “Ma chi se ne fotte del percorso ufficiale, al massimo glielo si spiega al Brocci, che inserisca il prossimo anno il nostro percorso”. Non ricordo chi l’ha detto e se queste erano le esatte parole. Il concetto era questo. Perché c’è un problema per i pedalatori pigri ma non troppo. Il percorso breve, quello di quarantacinque chilometri, è troppo breve, quello mezzano, da ottantaepassa, è troppo lungo. Quello che abbiamo fatto noi, il Battinelli dall’unione dei nostri due cognomi, ha invece la giusta lunghezza e il giusto dislivello per arrivare all’arrivo sereni e contenti e non dover affrontare le conseguenze della fatica. Che certo il Brocci dice “la bellezza della fatica e il gusto dell’impresa”, ma a noi, a me e Carlo, della fatica e dell’impresa c’è sempre fregato il giusto più che il gusto.

Non mi sono mai divertito tanto a un’Eroica come questa volta, in questa Eroica sghemba e libertaria.

Perché in fondo ogni tanto abbiamo il dovere di essere scemi, mollare la serietà, il senso del dovere, del fare per fare, e prenderci soltanto il dovere di fare gli scemi, scherzare, ridere, divertirci. Eliminare il senso e lasciarci andare al no sense.

Una scemenza serissima, perché ci vuole serietà nella non serietà, metodologia nell’improvvisazione di tutto ciò che non sarebbe il caso di fare, ma che a volte è meglio fare senza pensarci su troppo. Serve essere seriamente dei burloni, quantomeno per vedere l’effetto che fa senza farsi burlare dalle burle.

E forse in fondo è giusto così. Perché L’Eroica era nata come una burla al mondo del ciclismo, delle granfondo, era una mattata da fare una volta e via, alla faccia di tutti, per finirsi un po’ di ristori e farsi quattro risate.

Perché in fondo nulla è la bicicletta se non un modo di fottersene di tutto, un mezzo che ti dà la possibilità di fare ciò che si vuole e fino in fondo. Lei non conta, contano le gambe e la voglia di godersi il tempo.

Vale un po’ per tutto, anche per il lavoro che non ricordo più se mi sono scelto o mi è capitato di fare.

Se si è creato un distacco tra chi scrive e chi legge, o meglio chi dovrebbe leggere, è perché chi scrive per farsi leggere – cioè tutti quelli che scrivono, anche se qualcuno dice di scrivere per se stesso e basta. Non credetegli: o mente sapendo di mentire o mente anche se è convinto di non mentire – pensa troppo a chi legge e pensando troppo a cosa potrebbe interessare ai lettori ha perduto il filo con quel che gli accade attorno, ha perduto la capacità di godersi davvero quel che fa. Forse succede questo solo perché chi scrive per farsi leggere non si diverte abbastanza.

Non ho fatto nulla di quello che dovevo fare e mi sono divertito un sacco. E non c’è rimpianto. Anzi. È stata la migliore Eroica a cui abbia mai partecipato.

È passato un mese. Ottobre vola sempre più degli altri, un po’ perché non c’è mese migliore per pedalare, e non solo perché inizia con L’Eroica, anche e soprattutto perché le temperature sono meno alte e l’autunno porta addosso l’inverno mentre la bici ricorda la primavera e l’estate e ci sembra che pedalando si possa scappare da tutto.

È passato un mese, ne mancano undici alla prossima Eroica. Le amfetamine sono finite, andate in pace.