Essere antimoderno, essere Wout Van Aert

Essere antimoderno, essere Wout Van Aert

10/03/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Van Aert vince la prima tappa della Tirreno-Adriatico a Lido di Camaiore


Si fa un gran dire che il mondo cambia, si evolve, si complica e che per andare incontro ai cambiamenti, alle evoluzioni e alle complicanze serva fare una cosa: specializzarsi. In qualunque cosa. Perché mica tutti possono essere esperti di una cosa sola. Serve gente esperta di tutto: dalla comunicazione alla proteina X, dalla fibra Y al periodo storico K.

Anche nel ciclismo, anni fa, dicevano che serviva specializzarsi, puntare a un obbiettivo e menar duro per quello e per quello solo. Mesi e mesi ad allenarsi in altura, a inseguir motociclette, compagni lepri e chissà che altre cose. E tutto per arrivare pronti, prontissimi, al grande evento. Poi magari si beccava il campione di turno e tanti saluti all’anno passato in altura, a inseguir motociclette, compagni lepri e chissà che altre cose.

Specializzarsi è una rottura di balle colossale. Enzo Jannacci ne era così tanto consapevole che si è specializzato in tutto, “che vuol dire essere specializzati in niente, anche se qualche master in osteria forse me lo potrebbero pure dare”. Anche perché uno si specializza tanto a fondo in qualcosa, chessò nelle volate, tanto per dirne una, e poi arriva uno vestito di giallo che va a bomba in tutto e ti fa il vento.

Questione di gambe, che altro. Questione di piglio e appetito, quello che ti fa mordere tutto quello che c’è da mordere. Questione di essere antimoderno, essere Wout Van Aert.

Al Lido di Camaiore, dove sino al 2014 c’era una signora corsa (ma delle nostre semiclassiche è da un po’ che a nessuno sembra fregargliene) il belga si è messo alle spalle Caleb Ewan e Fernando Gaviria e un po’ tutti gli altri che aspettano le volate e che un po’ l’hanno mandato a quel paese: pure qui, in riva al mare deve rompere le scatole sto fiammingo.


Tutte le tappe e gli iscritti della Tirreno-Adriatico


Prima dello sprint, prima degli ultimi dieci chilometri, Samuele Rivi e Mattia Bais hanno vagato avanti al gruppo, prima con Vincenzo Albanese, Simone Velasco, Jan Bakelants, Guy Niv, poi da soli. Hanno provato a loro modo a specializzarsi in avventura, unica materia davvero indispensabile alle biciclette. Lo hanno fatto per oltre 140 chilometri. È andata male, perché va quasi sempre male. Ma si sa mai. Il giorno buono non si può sapere quando arriva.