Evenepoel e le cronometro bambine al Giro d’Italia

Evenepoel e le cronometro bambine al Giro d’Italia

06/05/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Quando ero bocia, che da me, nelle mie zone, non si è mai bambini, bimbi, fanciulli o chissà cosa altro, ma solo bocia – dovrebbe essere così ancora, ma non essendo più bocia non lo so per certo -, che tutti ti chiamano solo e soltanto bocia, aspettavo che uscisse il percorso del Giro d’Italia con una certa apprensione. E quando usciva il percorso del Giro d’Italia prendevo la Gazzetta (che è sempre stata solo ed esclusivamente quella dello sport, e anche i giornali erano solo ed esclusivamente la Gazzetta dello sport, a meno che non ci fosse il Tour de France e allora reclamavo anche La Repubblica perché Gianni Mura scriveva cose interessanti) e me ne fregava niente delle tappone o delle salite, non immediatamente almeno, ma mi fregava di scoprire se c’erano tappe che passavano per le mie zone, Conegliano. E mentre cercavo se c’erano tappe che passavano per le mie zone, e non dovevo cercare tanto che ancora il ciclismo gravitava nelle prime pagine in occasioni del genere, speravo sempre che la tappa che passava per le mie zone fosse a cronometro. Se non si abita sul Pordoi o nei pressi di qualche altra magnifica salita, il meglio possibile è che ci passi una cronometro. Le cronometro del Giro d’Italia erano all’epoca, quella pionieristica della mia formazione ciclistica, la cosa più bella che potesse capitarmi, se passava per le mie zone. Quasi sempre sbuffavo parecchia delusione, perché non ci passava quasi mai una cronometro nelle mie zone, quelle di Conegliano. Nel 1999 però c’è passata ed ero ebbro di felicità. All’epoca non sapevo cosa volesse dire essere ebbro, però l’ho imparato, e parecchio bene, dopo.

All’epoca prendevo la bicicletta e cercavo di raggiungere, quando possibile, il posto più vicino a casa mia dove passava il Giro d’Italia. A volte erano pochi chilometri, a volte decine, a volte non ci passava proprio. E allora o rompevo le palle a mio papà che mi ci portasse, oppure ai genitori di qualche mio amico. Non avevo tanti amici appassionati di ciclismo, quasi nessuno, per cui rompevo le palle soprattutto a mio papà. Non sempre mi assecondava. Una volta però si studiò talmente bene il percorso di una tappa alpina che riuscimmo a vedere due passaggi. E uno sul Pordoi. Mica cosa da poco.

Le tappe del Giro d’Italia sono bellissime tutte, siano esse montane, che pianeggianti. È tutta un’attesa in mezzo a gente amica. Un mondo di colori e suoni, di facce sorridenti. C’è niente di meglio di vedere una corsa in bicicletta lungo la strada. L’unico problema è che davanti ai tuoi occhi dura un attimo appena. Soprattutto quando sei al bordo di una strada in pianura. Se va benissimo torni a casa con una borraccia (un mio caro amico, Richard – è giusto che si sappia il nome – una volta ne prese una della Mercatone Uno, che era la squadra di Marco Pantani, che era, è e sempre sarà il mio mito, ma non me la diede mai; gli voglio ancora parecchio bene a Richard, ma quel fatto ce l’ho ancora legato al dito), che all’epoca del mio pionierismo ciclismo, mamma mi faceva lavare venti volte che diceva che c’erano i veleni. Ho capito dopo a cosa si riferisse.

Le tappe in montagna sono meglio di quelle in pianura, un po’ perché i corridori vanno più piano, abbastanza per poterli riconoscere; un po’ perché boschi e creste montane sono decisamente più gradevoli dei capannoni industriali; un po’ perché durano di più, i passaggi intendo.

Le cronometro però sono ancora meglio. Perché durano tantissimo, soprattutto quelle dei primi giorni, che i corridori ci sono tutti, di gente che è caduta o tornata a casa per sfinimento pochissima.

Le cronometro a bordo strada sono il massimo. Arrivi che è ora di pranzo e te ne vai che è passata l’ora della merenda. E i corridori li vedi tutti e da soli. Dicono che lottino contro il tempo, in realtà si concedono ai tuoi occhi, si fanno vedere per quello che sono, delle meravigliose creature in sella a una bicicletta, che pure è una bella creatura. La scienza e i bofonchioni dicano quello che vogliono, ma ogni bicicletta ha una sorta di anima e se trovi quella affine alla tua non la vorresti abbandonare mai, anche se è pesante e d’antan e se te la rubano, quella affine a te, maledici chi te l’ha rubata per sempre.

Quando andavo a vedere le cronometro ero sempre strafelice. E pure anche gli altri bocia che venivano con me, tutti bocia che non è che fossero dei gran appassionati di ciclismo, ma che decidevano di seguirmi perché c’era la cronometro (altrimenti non sarebbero venuti), erano contenti.

Mi sa che ora non se la passano bene le cronometro.

E non se la passano bene perché c’è sempre qualcuno che dice che le cronometro sono inique, avvantaggiano oltremodo gli specialisti, e rovinano lo spettacolo del Giro. Soprattutto in tivù sono noiose.

Potrebbe pure essere che in tivù siano noiose. Però a bordo strada non lo sono. Anzi. Tutto il contrario.

Sono quei bofonchioni che dicono tutto questo delle cronometro a essere insopportabilmente noiose. E lo sono perché o non si ricordano di cosa voleva dire andare a bordo strada da bocia, oppure non sono mai andati a bordo strada da bocia.

Io non so se hanno vinto loro oppure se la gente si è davvero disinnamorata delle cronometro, però so che a bordo strada per la prima tappa del Giro d’Italia 2023, la Fossacesia marina-Ortona (qui trovate la guida al Giro d’Italia 2023 con tutte le tappe), di gente per gran gran parte del percorso non ce ne era granché, pochina proprio. E mi ha fatto un po’ di tristezza. Perché Remco Evenepoel ha fatto una di quelle cose che riescono a fare in pochi, ossia dominare in lungo e in largo e lasciare a parecchi secondi, tanti, tutti gli altri, ma soprattutto perché ci saranno un sacco di bocia che non sapranno mai quanto è bello vedere una cronometro da bordo strada.

Magari alla prossima andrà meglio. Magari.