
Fausto Coppi alla corte di Totò
08/01/2021 1 Di Giovanni BattistuzziIl racconto che leggete qui è tratto da “Alfabeto Fausto Coppi” di Giovanni Battistuzzi e Gino Cervi, illustrato da Riccardo Guasco. Il racconto è liberamente tratto da ciò che disse il regista Mario Mattoli a Tuttosport nel 1965. Totò al Giro d’Italia fu girato nel 1948 e uscì nelle sale nei primi giorni del 1949. [Qui potete vedere il film completo]
Quando guardò fuori dalla finestra dell’albergo il signore coi capelli impomatati si sfregò le mani. La giornata era serena e una folla di persone era indaffarata a guardare le macchine delle squadre ciclistiche, a parlottare, a guardarsi attorno, cercando di ingannare l’attesa.
Indicò allo smilzo che gli stava accanto la scena giù nella piazza: “Sai cosa vuol dire tutto questo?”, gli chiese.
L’altro scosse la testa.
“Vuol dire un bel risparmio di soldi”.
Lo smilzo chiese il perché.
“Perché siamo lontani da Roma. Qui la gente viene perché c’è il cinema, non per farsi pagare”. E se la rise di gusto.
Si sentì bussare alla camera accanto. Un “chi è?” anticipò il rumore dello scatto della serratura e quello dei passi sul pavimento in legno. Un signore con un paio di baffi asburgici sorrise ai due avventori, li fece accomodare nel salottino della suite e andò a chiamare il Principe.
Per lunghi minuti i due rimasero in piedi a gettarsi occhiate di striscio mentre osservavano stupiti il lusso un po’ ostentato della stanza.
Un ometto in vestaglia e pigiama apparve davanti a loro con una sigaretta spenta che penzolava da un bocchino in avorio. Si fermò a qualche passo da loro. Rimase in silenzio a osservarli per una quantità imprecisata di tempo: “Lei dev’essere il campione vero?”, disse a quello più basso dei due. “Gino Bartali se non erro”.
Il toscano annuì.
Poi osservò l’altro.
“E lei è il giovinotto e il grande avversario, il bravissimo…”. Due schiocchi di dita, le labbra aperte alla ricerca del nome. “Coppi”, suggerì Bartali.
“Vero, vero, Fausto Coppi, eccezionale corridore”, disse girandosi per evitare di far veder loro l’imbarazzo che gli aveva invaso le guance.
“Bene, bene, voi ovviamente mi conoscete, sono Totò”, disse loro. “Vi avranno spiegato che farò il corridore in questa nuova pellicola e vi avranno spiegato anche le scene che dovrete recitare. Bene. L’unica cosa che volevo aggiungere è che sono orgoglioso che voi abbiate accettato”.
“Il piacere è mio”, dissero entrambi allo stesso momento.
Si guardarono come mai avevano fatto, come se in un attimo le divergenze degli ultimi tempi si fossero azzerate. Furono pochi secondi appena.
Totò stava spiegando loro che fare un film sul ciclismo era una grande impresa, che nessuno c’aveva mai provato, che più che una commedia era un trattato sull’Italia, che servivano impegno e forza di volontà per riunire tutto il meglio dello sport nazionale davanti a una telecamera.
Totò parlava a macchinetta e gli occhi di Coppi da grandi e curiosi si erano fatti piccoli e pesanti mentre i denti di Bartali iniziavano a stringersi sulla lingua che tante parole senza dire niente non le aveva mai sentite. “Che poi puntiamo al realismo, a un realismo dell’assurdo”.
Coppi e Bartali rimasero interdetti: ’Sto cinema mica è tanto a posto. Troppi concetti, troppi giri di parole. Cosa voleva dire?
Totò ora stava in silenzio, guardava fuori con la faccia seria. A parlare era il regista mentre le sue mani disegnavano i movimenti della telecamera, persone e scenari, tutte cose incomprensibili. Diede loro due sigari da signori “perché c’è bisogno di naturalezza”. Poi l’ordine: “Accendeteli, fateme vede’ come li usate”.
Bartali provò il desiderio di mollargli un ceffone. Tagliò in due il sigaro, prese un minerva e aspirando profondamente lo iniziò ad accendere. Spense il fiammifero al vento e con aria di sufficienza guardò i due. A un toscano fate tutte ’ste moine?
Coppi seguì pari pari i movimenti del rivale, ma una volta aspirato iniziò a tossire. E più tossiva più diventava rosso e più diventava rosso più abbassava la testa dalla vergogna.
“Oh acquaiolo, te fa l’atleta che a fumare ci pensa il Gino”.
[…] Quando Coppi e Bartali finirono alla corte di Totò. Un racconto […]