
Il Piccolo mondo antico di Filippo Ganna all’Étoile de Bessèges
06/02/2021Ganna è un cognome antico almeno nel ciclismo. Il corridore della Ineos si è scoperto essere antico quanto il suo cognome, ritornando a un ciclismo che non esiste più
Ganna è cognome antico, almeno nel ciclismo. Riporta a epoche lontane, a quando l’asfalto era confinato al centro delle città e nemmeno ovunque, la bicicletta era ancora novità, progresso, un futuro che si era palesato all’improvviso e aveva spiazzato molti. Epoca dove il ciclismo era cosa pre-futurista, affascinazione che univa rampolli dell’alta borghesia in cerca di avventura e poveracci che in sella speravano di lasciarsi la fame. Ottocento che scavallava il secolo e lo faceva a forza di centinaia e centinaia di chilometri. Pionierismo a pedali.
Ganna è cognome antico, almeno nel ciclismo. Indossato negli ordini d’arrivo da Luigi di Induno Olona, Luisin per tutti, nonostante spalle larghe, braccia forti, mani callose: muratore per stirpe e per professione. Almeno si a quando si fece rapire dal ciclismo. Bicicletta come fuga da un mondo che gli era sempre sembrato piccolo, anche se non c’aveva mai fatto caso davvero, che c’era da portare a casa pane e magari pure un salame, che non di solo pane vive l’uomo. Bicicletta che sotto di lui sembrava esserci sempre stata. A quindici anni la sceglie per risparmiarsi i due spicci del treno. Dieci chilometri andare, dieci a tornare. Poi cambia ditta, avanza di qualche paese verso Milano: ventidue chilometri andare, ventidue a tornare, ma dieci soldi in più al mese. Anzi a tornare sempre qualcuno in più. Prima pochi, poi a crescere. Prima gara: vince e si porta a casa un cotechino e un chilo di farina. Sua madre prende il bastone per fargli cambiare passione. Le va male. Luisin continua, vince a volte. Nel 1905 si sente pronto per misurarsi con i grandi: Giro di Lombardia. Chi tra i vecchi lo vede dice che non arriva, troppo grosso. Lui se li lascia dietro tutti tranne il Diavolo Rosso Giovanni Gerbi e Giovanni Rossignoli. Terzo. Porta a casa diciotto lire e per la prima volta sua madre non prende il bastone.

L’anno dopo vince la Coppa Val d’Olona battendo in volata Carlo Galletti. Venticinque lire di premio, sua madre è raggiante. Il resto sono tanti piazzamenti. Non è veloce Luisin, sulle salite fatica più di altri perché più grosso. Vive in una continua ricerca di solitudine, anche perché se si presenta con qualcuno sulla linea d’arrivo spesso gli finisce dietro. Ad eccezione che con Galletti. Le volate le può vincere solo in un modo, sfinendo gli avversari. E per sfinirli a bisogno di piccoli saliscendi. Nella Milano-Passo dei Giovi-Milano, corsa quell’anno organizzata per promuovere l’Esposizione universale di Milano 1906, verso il passo perde le ruote dei primi, in discesa li riprende, poi si mette davanti ai quattro che facevano d’avanguardia il gruppo. Galletti cede a novanta chilometri dall’arrivo. Pierino Albini ai sessanta. Con lui resta solo l’Avucatt Eberardo Pavesi, tipo tosto. Se al Trotter arrivano assieme l’Avucatt lo lascia dietro. E così Luisin poco prima di Milano si mette davanti, mulina come un dannato su quello che a essere positivi sembrava una collina, e “spezza una pedalata in seguito all’altra la resistenza erculea del Pavesi. Il Ganna somma metri a ettometri, abbandona alla disperazione l’avversario che nulla può se non sentirsi esausto per computo di delusione”.
D’altra parte nel ciclismo è sempre valsa la regola di Eugenio Camillo Costamagna: “O di velocità ai metri finali, o di bruta forza sul piano o di leggiadria a risalir la strada verso il monte: altri modi non esistono di vincer sul velocipide”. Luisin preferiva la seconda.
Bruta forza che ha risalito il tempo, che ha lasciato l’epoca delle origini per immergersi nei tempi moderni, trovando lo stesso cognome di allora, ma in forma diversa. Ganna, ma Filippo. Non mani callose, non muratore, ma spalle larghe sì e gli stessi modi gentili ed educati.
Filippo Ganna nella quarta tappa dell’Étoile de Bessèges 2021 ha riproposto la versione del Luisin. Nove chilometri e spicci al traguardo di Saint-Siffret, sette uomini avanti a tutti, meno di venti secondi di vantaggio sul gruppo, destino segnato. Almeno in apparenza. Perché è allora che Filippo Ganna decide che rassegnarsi è cosa da stupidi, che lui era davanti, gli altri dietro e toccava loro venirlo a prendere. Anthony Perez (Cofidis), Alexys Brunel (Groupama-FDJ), Dries De Bondt (Alpecin-Fenix), Niki Terpstra e Pierre Latour (Total Direct Energie) e Alberto Bettiol (EF-Nippo), sarebbero stati probabilmente pure d’accordo con lui, ma nessuno aveva le sue gambe.
L’italiano del Team Ineos ha messo il rapporto più lungo, ha aumentato la frequenza di pedalate. Gli altri si sono limitati a constatare il fatto che era impossibile stargli dietro. Jimmy Turgis ha riassunto il momento così:
Filippo Ganna ha rispolverato l’antico, il pionieristico, ciò che ormai è inusuale, ma che quando succede è una goduria: la rivalsa della forza sulla leggerezza, della pianura sulla salita, della potenza sull’agilità. Un piccolo mondo antico che ogni tanto torna a essere presente.