
La Freccia Vallone è invecchiata malissimo
19/04/2022Il Muro di Huy sta diventando un problema per la Freccia Vallone? No, ma l’arrivo in cima la sta rendendo prevedibile
L’è niente sbagliato, quantomeno quasi nulla da rifare. L’attendere per ragioni di studio, degli avversari, sta diventando sempre più un’anomalia in questi ultimi anni a pedali. Lo studio c’è ancora, non è sparito, solo che è diventato dinamico. Non aspetto a vedere come stai, ti attacco, e presto, perché è meglio capirle subito, e chiaramente, le condizioni dell’avversario che scoprirle per davvero negli ultimi chilometri. C’è una mancanza di fiducia nel prossimo totale che impone l’anticipo, il cercare la solitudine come atto di offesa e di difesa allo stesso tempo. Meglio pochi, e tutti buoni, che in tanti: chissà mai che qualcuno peschi la carta giusta e sorprenda la compagnia. Il rischio è troppo alto, la voglia di vincere è tanta, e allora via ad aggredire per non essere aggrediti. Poi si vedrà.
L’andazzo generale è nuovo e antico assieme, senz’altro una cesura rispetto a un passato nemmeno troppo prossimo. Merito di una generazione, anzi un paio, di corridori che ai calcoli preferisce il dinamismo dell’attacco. Merito anche di una generazione, anzi un paio, di organizzatori che hanno cambiato il metodo di disegnare le corse, allungando lo spazio tra le ultime asperità altimetriche e linea d’arrivo.
L’Amstel Gold Race è stata la prima a cogliere il cambiamento. Quando sul finire del 2013 annunciarono che quella passata sarebbe stata l’ultima edizione con il finale in salita sul Cauberg in molti commentarono: ma sono impazziti? Così rovinano la corsa. I fatti hanno dato ragione agli organizzatori.
L’Amstel Gold Race ha messo in fila un’edizione più bella dell’altra e, anno dopo anno, si è lasciata alle spalle l’etichetta di classica di ripiego. Il canovaccio della corsa cambia di anno in anno, i tentativi di allungo e di rivolta alle gerarchie del gruppo si susseguono e nulla è realmente scritto sino agli ultimi metri. È da due anni che la gara finisce al fotofinish, e prima, nel 2019, il recupero incredibile di Mathieu van der Poel aveva ribaltato un risultato che sembrava già scritto.
La Liegi-Bastogne-Liegi si è resa conto di questo qualche anno dopo e ha modificato il suo percorso. La linea d’arrivo non più ad Ans, ma di nuovo a Liegi e via pure la Côte de Saint-Nicolas. Troppo vicina al traguardo, troppo temuta dai corridori che con lei nel percorso si macchiavano di troppo attendismo.
Lassù in quel nord dove i muri si chiamano côte e il pavé non c’è o quantomeno non viene considerato interessante – pazzia, ma che ci volete fare – il grande anacronismo è la Freccia Vallone.
La Freccia Vallone e il Muro di Huy
La Freccia Vallone era “una corsa pazza per pazzi, aperta a qualsiasi tipo di risultato, dove l’arguzia tattica era necessaria tanto quanto le gambe per arrivare all’arrivo”, o così almeno per Roger De Vlaeminck.
Non è più così dal 1985, da quando l’arrivo della Freccia Vallone prese dimora in cima al Muro di Huy.
Per anni il Muro di Huy venne sfidato, a volte pure da lontano. Poi il gruppo smise di sfidarlo e si adeguò a esso. E adeguarsi vuol dire aspettare.
Il Muro di Huy è una salita bellissima. Un chilometro e trecento metri e centoventotto metri di dislivello che vuol dire una pendenza media al novevirgolasei per cento, e tratti che si impennano pure al ventisei. Un muro vero, quasi da arrampicata. Roba da camosci in bicicletta.

È affascinante il Muro di Huy, lo si capisce metro dopo metro che è cosa mica da tutti, che è affatto semplice salire, figurarsi attaccare, scattare, prendere il largo. Eppure qualcuno ce la fa. Gente tosta, leggera e potente, soprattutto verticale. Più che scalatori, ascensori.
È affascinante a tal punto che viene paura solo a pensare di sfidarlo per davvero, allungando l’azione, la solitudine al comando. La solitudine sul Muro di Huy è chirurgica: inizia, decina di metri più decina di metri meno, nello stesso punto e si realizza in vista del traguardo. C’è mica da improvvisare, serve precisione assoluta. E gambe, che altrimenti, ma questo sempre, si va da nessuna parte.
E così la Freccia Vallone è diventata un’attesa. Il copione non cambia. La fuga va, qualcuno resiste di più o di meno, poi tutti assieme appassionatamente sotto al Muro di Huy e via a vedere chi ne ha più degli altri.
È invecchiata male la Freccia Vallone. E invecchia sempre peggio di anno in anno. Perché altrove le corse sono appassionanti, incerte, aperte a sceneggiature diverse, le più disparate. A Huy invece no. La sceneggiatura è unica. A volte cambia il protagonista principale, a volte neppure i coprotagonisti.
Serve quasi più neppure vederla la Freccia Vallone. Basta farsi dire da qualche buonanima quando mancano due chilometri al Muro di Huy, stapparsi un birra piccola e seccarsela in due sorsi.
E le birre piccole sarebbe ora di eliminarle dal commercio.
[La speranza ovviamente è quella di essere smentiti dai corridori]