Gino Mäder e la lacrima del lago

Gino Mäder e la lacrima del lago

16/06/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Gino Mäder è morto dopo una caduta al Giro di Svizzera. La bicicletta come amore, un aiuto non richiesto, un destino che non è lo stesso


L’estate si rifletteva viva sul lago. Ne imbiondiva a tratti il manto, lo rendeva meno severo, più vivace, praticamente meno affascinante. È il mare che chiama il sole. Il lago è diverso, è un innamoramento malinconico, a tratti fosco. È guardando le macchie che chiamano pioggia, provando a immaginare ciò che c’è oltre la nebbiolina che sfuma le cime dei monti che gli stanno attorno, cancellandoli, che diventa chiaro se il lago è qualcosa che fa per noi. C’è nulla di male a capire che no, che non è così, che con il sole è meglio, che il sole è ciò che ci vuole e null’altro.

L’estate si rifletteva sul lago e sui pendii dei monti la temperatura era alta. Ed era mattina presto. E nemmeno il Tivàn a dare una mano, a concedere un piccolo sollievo. S’era preso una pausa anch’esso, l’estate d’altra parte è fatta di pause, le si aspettano, le si bramano.

La strada saliva severa, sale sempre severa dal lago verso i monti. Lo si vede bene da giù, quando si è coi piedi e le chiappe immersi nell’acqua. Non c’è cosa migliore di immergersi nelle acque del lago dopo un giro in bicicletta.

Il lago era giù, lontano, la strada saliva, molto, il cuore pompava forte, il respiro era veloce, le gambe lente a muoversi, al limite, sebbene tutto sembrasse immobile attorno e pure l’ombra era pronta a scattare e ad andarsene tanta era bassa la velocità.

Ben più veloce a svotarsi era invece la borraccia. A metà salita l’acqua era finita, a bordo strada né un bar né una fontanella. Il cielo sereno non ne avrebbe fornita. Pedalare senza bere è un incubo, un prosciugamento. In questi casi viene voglia di girare la bici, trasformare la salita in discesa. La voglia però svanisce sempre, c’è una cima da raggiungere, è quasi un obbligo morale.

Pedalavo, la gola arsa, la velocità bassima, la borraccia in mano. Quando non si è lucidi si fanno cose stupide, tipo tenere una borraccia in mano invece di metterla nel portaborracce.

Ronzio di ruote. Rumore di un cambio che saliva sul pacco pignoni. Una macchia veloce alle spalle che si avvicinava.

Una macchia che diventava una figura. Che si trasformava in un corpo leggero, in un volto. In due occhi che intercettavano i miei.

Non ci fu bisogno di parole. Una mano scese a prendere la borraccia. Anche l’altra si levò dal manubrio. Aprì il tappo, lo mise nella tasca posteriore. Rallentò. Prese la mia dalla mano, tolse il tappo, versò un po’ di acqua, me la passò con il tappo appoggiato.

Levai anch’io le mani dal manubrio, chiusi, diedi una sorsata piena. Acqua che sapeva di sale e arancia. Mi ha sempre fatto schifo il sapore degli integratori da borraccia all’arancia. Ma quella era buonissima. Arrancavo in salita, ma iniziai a prendere velocità, salivo in salita con fare da passista-scalatore. La sua mano si levò dalla mia schiena e la velocità scomparve. Mi salutò con la mano.

Nessuna parola ci fu tra noi.

Cinquecento metri dopo la salita si attenuava, le mie gambe giravano le pedivelle con ritrovato, seppur lento, brio. Troppo peso, troppa panza, troppo poco allenamento per poter essere diversamente.

Un chilometro dopo la cima era conquistata, un bar apparve sulla sinistra, sulla destra una V conduceva lo sguardo al lago. È una meraviglia il lago di Como visto dall’alto.

Quella figura colorata che mi aveva donato acqua e forza era là. Seduto su di una panchina a vedere il lago dall’alto e a gustarsi una Coca Cola. C’è nulla di meglio di una Coca Cola fresca quando il caldo ti ha asciugato le gambe.

Ci guardammo, vedendolo per la prima volta. Aveva gli occhi malinconici e felici, di chi sa che è lì che vuole essere, contento di avere affianco la gioia di una bicicletta e davanti lo spettacolo del lago, ma che in fondo sa che c’è sempre la possibilità che qualcosa di sbagliato è pronto ad arrivare.

Gino Mäder.

Lo riconobbi in ritardo. Sono mai puntuale quando c’è da riconoscere qualcuno. A volte, quasi sempre, riconosco colui che ho davanti e con il quale sto parlando solo momenti, minuti, dopo che ci sto parlando.

Lo ringrazia. Gli chiesi se potevo offrirgli qualcosa per sdebitarmi. Fece un accenno di sorriso, disse che eravamo ciclisti, che eravamo innamorati tutti della stessa donna, guardò la bici e sorrise. Disse che se c’è qualcuno in difficoltà bisogna sempre aiutarlo, che non si può tirare dritti, fare finta di niente. Disse che serviva fare questo perché avevamo lo stesso destino.

Lo stesso destino.

Suona strano ora lo stesso destino. Suona straziante. Suona come una goccia che cade in uno stagno in una grotta.

Una goccia che è una lacrima. Una lacrima di tristezza.

Gino Mäder è morto per una caduta al Giro di Svizzera. Nella sua Svizzera, quella che quel giorno aveva lasciato un attimo per farsi un giro al lago, quel lago, quello di Como, che gli piaceva tanto, ma che ci andava poco, perché la squadra diceva che era meglio la Svizzera per pedalare.