
Giovanni Meazzo e il suono dell’acciaio
06/12/2021Giovanni Meazzo diceva di essere uno all’antica. Perché era antico il suo amore per la bici. Ciao Meassen. È stato un bel viaggio
Le forme. Innanzitutto quelle. Sottili, pulite, armoniose. Perché null’altro serve. La perfezione è storia antica, quella di sempre. “La bicicletta è nata perfetta, a tal punto che per anni non è stata toccata se non in piccoli dettagli. Ora è comunque perfetta, ma meno affascinante, si è mostrificata e forse pure un po’ mortificata per inseguire lo spettro della leggerezza”.
Giovanni Meazzo diceva di essere uno all’antica. Perché era antico il suo amore per la bicicletta: “In una bottega di bici ci sono nato e cresciuto. È sempre stato il mio mondo. Un mondo splendido”. Perché era antico quel tempo nel quale aveva corso. Dagli anni Quaranta al 1950, da allievo al professionismo. Un anno solo, poi i tendini del ginocchio lo tradirono e tanti saluti e buone cose. Senza rancori, senza troppi rimpianti, anche se avrebbe potuto andare diversamente. Perché la bicicletta era rimasta compagna di vita e questo in fondo bastava. “Mi fosse rimasto il ciclismo e non la bici sarebbe stato peggio”. E così la bicicletta continuò a essere l’esatta continuazione delle sue dita. Dita che si muovevano piano, che accarezzavano tubi e ruote, manubri e catene, quasi non volesse far loro violenza.

Qualche anno fa a Pozzolo Formigaro, provincia di Alessandria, un suo dito percosse il tubo di una bicicletta. “Lo senti?”. Si prese una pausa, replicò il gesto poco dopo. Ripeté la domanda: “Lo senti? L’acciaio ha un suono inconfondibile. Ha la vita dentro. Nessun altro materiale ha il suono dell’acciaio. Nessun altro materiale è realmente vivo. È per questo che un telaio in acciaio ci sopravviverà”.
Giovanni Meazzo diceva di essere uno all’antica perché era più passato che futuro, eppure negli occhi aveva l’avvenire, un avvenire che avrebbe riscoperto l’acciaio, l’avrebbe riabbracciato e riapprezzato.
Raccontò che al ciclismo c’era arrivato con parecchi sogni e nessuna certezza e se ne andò con tante certezze da verificare e con gli stessi sogni di prima. Che poi era uno soltanto: “Non separarsi mai dalla bicicletta”. Soprattutto con la consapevolezza che serve darsi da fare per essere degni di essere uomini veramente. Glielo insegnò in qualche modo Biagio Cavanna, massaggiatore di Fausto Coppi, anzi di più: taumaturgo. “Cavanna parlava poco, anzi niente, ma faceva capire tutto”. Con lui rimase un anno alla Siof, quella piccola università del ciclismo che forgiava gli angeli custodi dell’Airone.
Cavanna non vedeva, ma sentiva ogni cosa. “Ed è stato un insegnamento. Vale così anche con la meccanica. Soprattutto con i telai. Lo devi sentire l’acciaio, sentire come ti parla, quello che ti dice”.
Era bello sentire parlare Giovanni Meazzo. Ascoltare la sua voce, le sue storie, quelle meccaniche e quelle umane. Anzi tutte umane. L’acciaio d’altra parte ha un anima.
Giovanni Meazzo è morto ieri. Ciao Meassen. È stato un bel viaggio.
nda: I virgolettati inseriti in questo articolo sono tratti da una lunga chiacchierata al telefono di qualche anno fa per un progetto che poi non è mai andato in porto e dall’incontro tra chi scrive e Giovanni Meazzo a Pozzolo Formigaro nel settembre 2017. Un grazie particolare va a Luciana Rota e Serena Malabrocca per aver reso possibile quell’incontro. Da un’altra chiacchierata con lui nacque l’idea di questo racconto.