
Il sentimento non ha logica. Il ritiro di Giovanni Visconti
10/03/2022Con una lettera Giovanni Visconti ha dato l’addio al ciclismo. È stato di più di quello che ha vinto. E forse non ce ne siamo accorti
Ogni volta che guardando un giovane corridore a qualcuno viene in mente di dire “ecco il nuovo X”, quel qualcuno dovrebbe mordersi la lingua e non dire niente.
Il paragone dovrebbe essere bandito, inserito in una lista di reati contro il ciclismo. E lo è perché si insinua subdolamente e non va via. Anche se non ci si ricorda più di quel maledetto “ecco il nuovo X”, quella frase non scompare, rimane nei meandri della memoria e lì resiste a tutto: al tempo che scorre, all’evidenza, alle cose belle e a quelle brutte che naturalmente accadono e si alternano in una vita.
Giovanni Visconti mercoledì ha annunciato l’addio alla Bardiani e soprattutto al ciclismo professionistico. E quel dannato “ecco il nuovo X” è riapparso dal nulla, da quel buco neuronale nel quale si era cacciato. Quella X aveva un nome e cognome: Paolo Bettini.
Lo avevano detto e scritto a lungo e in tanti nei primi anni Duemila.
Dannazione.
Perché ogni volta che quella frase, “ecco il nuovo X”, veniva ripetuta si sommavano immagini passate che confondevano quelle presenti e quelle future, a volte travisandole.
Non è una questione di aspettative. E nemmeno di pressione. È qualcosa di più subdolo che si insinua nel nervo ottico e non fornisce al cervello la giusta prospettiva di quello che accade.
A volte ci si accorge tardi di questo. A volte non ce ne si accorge proprio.
Quasi sempre non ci fa apprezzare davvero quello che stiamo osservando.
Quando un’epifania ce lo rende evidente, allora viene il dubbio se reputarsi deboli o se invece sentirsi forte in quel preciso istante. Un dubbio che ha messo in parole Giovanni Visconti nella sua lettera d’addio al ciclismo, non alla bici – quello è un altro rapporto, uno che non permette addio –, che ha pubblicato sui social. Un dubbio diverso da quello che assale i tifosi, ma che è composto della stessa materia.
Non è un debole Giovanni Visconti. Non lo è nella scelta di lasciare il professionismo, non lo è stato in gruppo. E non lo è stato perché per quasi due decenni è stato uno che si è preso sempre preso la responsabilità di attaccare, di provarci, anche quando la logica avrebbe detto il contrario.
La logica è qualcosa che stona con il sentimento. Stona soprattutto con la bellezza dell’incertezza, che è poi ciò che ci avvicina emotivamente ai corridori.
Nei commenti al ritiro, nelle parole degli appassionati traspariva un rammarico: poteva vincere di più. Forse. Ma non importa. E non importa perché c’è di più di una vittoria a contare, ed è quel senso di indomita resistenza che si mette nel pedalare. Di provarci. Di partire al mattino con l’idea di centrare la fuga e poi si vedrà.
A volte va bene, come verso Les Granges du Galibier al Giro d’Italia del 2013.
Spesso va male, la vittoria sfuma, il gruppo ti assorbe e divora.
Eppure Giovanni Visconti, forse si incazzava, forse si rammaricava, però trovava sempre il modo di ritrovarsi là davanti.
La maglia azzurra al Giro d’Italia 2015 ha reso questo suo modo di correre più colorato, evidente a tutti, pure a chi quel “ecco il nuovo X” non l’aveva scordato.
“Non sono di certo diventato un campione ma credo di essere stato un buon corridore. Ho vinto ciò che il mio fisico e la mia testa mi hanno permesso di vincere e se mi guardo indietro posso avere solo qualche rammarico, nessun rimorso”, ha scritto Giovanni Visconti. E ha ragione. Nessun rimorso. Anzi.
Giovanni Visconti ha fatto ben più di quello che ha dimostrato con il numero sulla schiena. Ha dimostrato che era possibile iniziare a pedalare dalla Sicilia e arrivare a conquistare l’Italia (due sono state le maglie tricolori di campione nazionale che ha indossato).
Anni fa, lungo le strade del Giro, un ragazzino aspettava il passaggio dei corridori. Aveva una maglia blu, le gambe secche e un grazie scritto su di un cartello.
A chi è diretto quel grazie?
A Visconti e a Nibali. E poi a tutti gli altri.
Perché a Visconti e a Nibali?
Perché hanno inorgoglito mio papà che mi diceva che prima di loro la Sicilia non c’era nel ciclismo. Mio papà è di Palermo. Io no, io sono di Treviso, ma Palermo mi piace.
La lettera di Giovanni Visconti
“The End
Non so se reputarmi un debole o se invece sentirmi forte in questo preciso istante. Non so cosa penserete tutti e non so cosa aspettarmi. Una cosa però la so bene: da mesi e mesi soffro sulla bici e soffro giù dalla bici. Non sono di certo diventato un campione ma credo di essere stato un buon corridore. Ho vinto ciò che il mio fisico e la mia testa mi hanno permesso di vincere e se mi guardo indietro posso avere solo qualche rammarico, nessun rimorso. La mia non è stata una carriera semplice ma non è il momento dei vari “se” e “ma” e soprattutto non è questo lo scopo di questa lettera.
Sapete cosa dico da anni? Dico che io non voglio essere quel corridore che si trascinerà dietro la bici quando ormai la sua carriera sarà al tramonto. Quello che sta lì in mezzo al gruppo quando va bene ma che rimane anonimo, quello che viene dimenticato nonostante la sua presenza. Lo dico da anni eppure da tempo chiudo gli occhi, provo a non ascoltarmi e vado avanti imperterrito seppur pieno di dubbi e paure, convinto che domani andrà meglio. Poi domani accade la stessa cosa di oggi, sprofondo nuovamente , sembro mollare una volta per tutte e poi dopo qualche ora si riaccende la fiammella… e così via… Ascolto tutti tranne me.
Perché? Cos’altro devo dimostrare? Ho già detto che nn sono un campione e di certo non lo diventerò a 39 anni allora perché non volersi un po’ più bene e trovare la forza di dire basta? Forse è solo la paura di ciò che sarà e di ciò che lascerò. Se ci penso bene però non posso che essere fiero di me stesso e di quello che sono riuscito a raggiungere. Il ciclismo mi ha dato tutto quello che ho, mi ha dato Katy, Thomas e Noemi. La mia vita. Il ciclismo mi ha dato anche voi che siete stati l’essenza in ogni metro di strada in salita, in discesa, sotto la pioggia o la neve, sotto il sole cocente. Voi che ci siete sempre stati nelle vittorie e nelle sconfitte.
Vorrei sentire sempre tutto l’appoggio che mi avete dato in questi meravigliosi anni e non dimenticare mai ogni momento in cui correndomi accanto ed incitandomi mi avete trasmesso adrenalina, fierezza, orgoglio , emozione pura . Ci ho provato con tutte le mie forze a tornare ad un buon livello nonostante i miei tanti problemi e anzi devo dire grazie alla famiglia Reverberi e a tutta la Bardiani-Csf-Faizanè per la possibilità che mi ha dato e per avermi “aspettato e rinfrancato” più volte.
Sarei voluto tornare sul campo per ringraziarvi come si deve e per chiudere meno anonimamente, ma mentre alla mia età per tornare ad alti livelli ci vuole tempo è per tornare invece sotto terra che basta un attimo e così per l’ennesima volta mi ritrovo ad un bivio: sinistra o destra ciclismo. Dritto: vita. Ho girato ormai troppe volte da una parte e dall’altra credendo di potercela fare ma alla fine torno sempre qui, al bivio.
Non sono più in grado di girare, devo serenamente prenderne atto. Si dice che quando lasci la strada vecchia per la nuova sai quello che lasci e non sai quello che trovi. È lì che subentra il coraggio e nonostante la paura immensa che provo oggi vado dritto amici miei… e poi chissà, magari troverò qualche altro bivio e mi soffermerò ancora per un po’… E così via.
Grazie a tutti, GRAZIE CICLISMO. È passato appena un giorno, ma… Mi mancherete. Mi manchi già