Giro d’Italia. Bernal tra le cime vietate

Giro d’Italia. Bernal tra le cime vietate

24/05/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Poteva essere diversa. Poteva andare diversamente (davvero?). La sedicesima tappa del Giro d’Italia 2021 è un’apparizione a metà. Passo Fedaia e Passo Pordoi sono rimasti un dubbio, un punto di domanda al quale è impossibile dare una risposta. Nessun corridore si è arrampicato in cima. Almeno del gruppo, perché di cicloamatore i pendii dei due monti ne hanno visti.

Il principio di precauzione, ormai caposaldo di qualsiasi discorso legato al Giro, ha vinto. Lo fa da anni. Meglio evitare casini, è la regola. C’è da capirli gli organizzatori. In un mondo dove qualsiasi errore, anche il più ininfluente e non certificato, viene in un modo o nell’altro rivolto contro chi l’ha compiuto, c’è da avere il timore di prendere una posizione che prevede una minima percentuale di rischio.

Fedaia e Pordoi sono rimaste un pensiero, un abbaglio, una nuvola inafferrabile, che si è dileguata nel tentativo di afferrarla. È rimasto il resto. La Crosetta, il Passo Giau, nuova Cima Coppi del Giro. È rimasto il tentativo di rivoltare quanto la corsa aveva sinora detto che si è dipanato a valle e per un poco lungo la strada che portava in cima al passo dolomitico. João Almeida, Davide Formolo, Amanuel Ghebreigzabhier Gorka Izagirre, Antonio Pedrero, Vincenzo Nibali, in doverose ordine alfabetico, hanno tentato la rivolta, hanno provato la mattata, l’inseguimento strambo a una nuova realtà.

Tutto inutile. Le Dolomiti, quelle scoperte da Gino Bartali e amate da Dino Buzzati, non sempre sono terra d’illusioni. La montagna è luogo di necessaria praticità.

Gli avanguardisti hanno provato a reinventare il Giro, hanno dovuto cedere alla realtà. Navigatori sognatori in un mare alpino che non ha concesso loro l’approdo che desideravano.

Ma bella più di tutte l’isola non trovata / Quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino / Il Re di Portogallo, con firma suggellata / E “bulla” del pontefice in Gotico-Latino

I sogni di rivalsa si sono fermati davanti all’evidenza che almeno sino a ora, Egan Bernal è corridore superiore a chiunque altro. Lo ha dimostrato nelle prime due settimane, lo ha riproposto oggi verso Cortina d’Ampezzo. Sul Passo Giau ha trovato l’isola che aveva cercato gli attaccanti, quella di cui cantava Francesco Guccini in L’isola non trovata.

Non c’era verso che potesse andare altrimenti. La maglia rosa ha ripreso e staccato tutti, ha dimostrato una capacità ascensionale che nessuno ha. Almeno ora, almeno a questo Giro. Metro dopo metro è evaporata quella di Remco Evenepoel, naufragato a 24 minuti (ma non correva dallo scorso agosto, è un ragazzino e saprà rifarsi), di Simon Yates, di Aleksandr Vlasov, colpevole di aver fatto confusione nel mettersi la mantellina. Di tutti gli altri.

Le antiche carte dei corsari / Portano un segno misterioso / Ne parlan piano i marinai / Con un timor superstizioso / Nessuno sa se c’è davvero / O è un pensiero / Se, a volte, il vento ne ha il profumo / È come il fumo che non prendi mai

L’isola non trovata non esiste, forse, è un mistero che nessuno potrà raccontare. È rimasta nascosta sotto le nubi che hanno avvolto e infreddolito i passi, che hanno allontanato l’estate dalle cime montuose. Una magnifica utopia. Perché nessuno può dire come sarebbe andata a finire questa sedicesima tappa del Giro. In ogni modo. Oppure nello stesso modo, ché Egan Bernal questo è, al momento magnificamente superiore a chiunque.

Poteva andare in molti modi. Ma non è stato bellissimo il modo nel quale è andata? Siamo sicuri che quei sei avrebbero provato a sfidare le leggi del gruppo allo stesso modo con due passi in più?

Altre domande a cui non è consentito rispondere. Altre due delle tante che ci siamo fatti nel corso di questa giornata.

Tutte domande alle quali non è possibile rispondere. E forse è giusto così. Perché non ha senso dare una risposta. Il ciclismo è a volte lo sport dei quesiti sospesi, se ne sbatte degli scenari possibili, conta la strada e la strada basta sempre. Forse è vero che bella più di tutte l’isola non trovata, ma è giusto attenersi a quella sulla quale siamo sbarcati, l’unica che è uscita in quale modo dal mare di nubi che avvolgeva le Dolomiti, che ne celava le cime. Quella conquistata da Egan Bernal, che ha visto il ritorno di Romain Bardet e la baldanzosa avanzata di Damiano Caruso, ora secondo il classifica a due minuti e ventiquattro secondi dalla maglia rosa.

Poteva andare diversamente? Poco importa. Quello che c’è stato ci è bastato.