Filippo Fiorelli è una storia d’amore

Filippo Fiorelli è una storia d’amore

12/05/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Pedalare è anche una questione di ostinazione. Un’ostinazione dietro alla quale si nascondono un’infinità di motivazioni, volontà di dominio o di vittoria, di rivalsa, di predominio. Oppure soltanto la semplice accettazione che quello, e non altro, è ciò che si vuole fare davvero, la conquista del proprio posto nel mondo.

Nel gennaio del 1996, Luciano Pezzi si recò a casa di Marco Pantani. I due si erano conosciuti qualche anno prima quando Pantani era ancora un dilettante. Pezzi ne apprezzava il piglio in salita, la classe, il suo essere veracemente e voracemente un corridore. Pantani era ancora messo male, la testa piena di domande a cui non sapeva rispondere. I postumi dell’incidente del 18 ottobre 1995 alla Milano-Torino, quando un’automobilista alla guida di un fuoristrada entrò nel percorso di gara e lo investì mentre stava affrontando la discesa dal Santuario di Superga, ancora si facevano sentire. Il pericolo era di non ritornare più a correre, non solo di non poter ritornare più a essere il corridore che aveva stupito nel 1994 il Giro d’Italia e aveva vinto due tappe al Tour de France del 1995.

Pezzi chiese a Pantani come si immaginava il futuro. Lui gli rispose con due parole: “In bici”. Poi spiegò che doveva tornare a pedalare, che c’avrebbe messo tutta l’ostinazione che era capace, perché “non si può lasciare la cosa che si ama di più”.

L’ostinazione in questo caso era legata a doppia mandata con l’amore, quello che ti fa andare avanti nonostante tutto. E ce ne vuole per andare avanti nonostante tutto.

Filippo Fiorelli non è Marco Pantani, non ha la sua capacità di prendere il volo in salita. È un corridore diverso, veloce ma non velocista, uno capace di qualche buon piazzamento nelle volate di gruppo, ha conquistato il settimo posto nello sprint della seconda tappa del Giro d’Italia. Ma non è solo questo. È soprattutto un corridore tenace, capace di non mollare anche negli strappi, nelle salite non troppo lunghe, di andare in fuga e di portarle all’arrivo. A Sestola, quarta tappa del Giro, ne ha dato prova. Ha superato lo striscione d’arrivo ventisette secondi dopo il passaggio di Joe Dombrovski e quattordici dopo quello di Alessandro De Marchi, nuova maglia rosa del Giro d’Italia.

Per Fiorelli “Pantani è il ciclismo”, ha detto a Sportfair. E se di Pantani non ha le caratteristiche e la classe, poco importa. Ne conserva il ricordo dell’ostinazione, quella che ti fa superare le difficoltà, quella che ti fa andare avanti nonostante tutto, quella che fa rima con l’amore.

Poteva non essere un corridore, poteva non essere in gruppo per correre il suo secondo Giro d’Italia. Gli sarebbe bastato accettare gli eventi, farsi scoraggiare dal fatto che in Sicilia non è semplice provare a fare il corridore. Ha iniziato a correre a 16 anni, ma da amatore, non c’erano squadre juniores a Palermo.

L’inizio del viaggio di Filippo Fiorelli

“Mi dicevano che avevo una buona gamba, che avrei potuto provare ad andare al nord e inserirmi in qualche squadra; ma in quel periodo, che va dal 2011 al 2013, non ero molto costante nell’allenamento. Infatti, andavo a scuola e avevo iniziato a fare il cameriere ma, un giorno, decisi che il ciclismo sarebbe stata la mia vita, il mio sport, la mia passione. Così iniziai ad allenarmi duramente e, a quel punto, uscendo in bici con persone più allenate di me con alle spalle tanti lavori specifici, iniziai a capire quanto fosse davvero faticoso questo sport”, racconta sempre a Sportfair.

Per anni la bici “erano passeggiate in bici”, che “mi piacevano, mi divertivo, non sentivo la fatica di una salita o la paura di una ripida discesa, per me quello era lo sport che mi rendeva libero“. Una libertà che necessitava di nuovi spazi, di nuovi traguardi. “Aveva cominciato a 16 anni, ma smise quando suo papà ebbe un brutto incidente che lo mise sulla sedia a rotelle. Prima venne in Toscana, poi andò in Lombardia. Mi chiese lui di correre con me, perché aveva corso con Delle Foglie, un mio corridore. Io non lo conoscevo, lo vidi a una corsa che aveva 4-5 chili di troppo. Lo proposi al presidente, che inizialmente nicchiò. Poi lo prendemmo e lui si mise a disposizione. Fu bravo. Perse peso e cominciò ad andare forte”, ha raccontato a Enzo Vicennati, Marcello Masini.

Fiorelli fece buone cose tra gli under 23, ma gli ci volle un po’ per passare tra i professionisti. “Soprattutto per il discorso dell’età. Lo avevamo proposto subito a Reverberi, ma al primo assalto disse di no. Poi Alberati lo propose a Savio, facemmo tutti i test da Bartoli, ma alla fine prese uno scalatore. Tanto che a un certo punto Filippo aveva anche pensato di mollare. Gli dissi che avrebbe fatto sempre in tempo ad andare a lavorare e si convinse a riprovarci. L’anno dopo vinse sette corse”, ha detto  Paolo Alberati sempre a bici.pro.

Tra i grandi ci è finito l’anno scorso. La Bardiani Bruno Reverberi alla fine si convinse del valore del corridore. Al suo primo Giro finì tra i primi dieci in due volate. Poi provò a dedicarsi alle fughe. Non riuscì a beccarne una, ma era questione solo di tempo. Il tempo buono è arrivato ieri, tra le colline emiliane che provavano a diventare montagne.

Filippo Fiorelli al Giro ci proverà ancora. Intanto pedala lì dove voleva pedalare, tra centinaia di altre biciclette, sperando un giorno di lasciarsele tutte dietro.