Giro d’Italia. Il treno se ne frega

Giro d’Italia. Il treno se ne frega

17/05/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Era il 28 maggio del 1952 quando Vincenzo Torriani alzò il telefono e chiamò la direzione delle Ferrovie dello stato. Il patron del Giro d’Italia aveva una richiesta da fare, una richiesta a cui non poteva sentirsi dire di no. C’era un treno da bloccare il giorno dopo, quello che poteva creare problemi al regolare svolgimento della tappa. Torriani litigò per oltre mezz’ora, sottolineò che la Venezia-Bolzano del 29 maggio era la tappa che avrebbe deciso il Giro d’Italia di quell’anno, il giorno del grande scontro tra Fausto Coppi, Gino Bartali, Ferdi Kübler e Fiorenzo Magni. Alla fine ce la fece. Il treno istituito pochi mesi prima e che, per orari, poteva creare problemi al transito dei corridori fu soppresso.

Fausto Coppi quel giorno prese il volo sulle Dolomiti e planò a Bolzano senza il rischio di essere interrotto nel suo incedere da nessun convoglio.

Avvenimenti del genere nella storia del ciclismo sono stati rarissimi. Il servizio ferroviario ha sempre avuto priorità sulle gare ciclistiche. Quel giorno si fece un’eccezione soltanto perché il capo delle Ferrovie dello stato di allora, l’ingegner Giovanni Di Raimondo, si narra fosse di convinta e ultraortodossa fede coppiana. E soprattutto perché Torriani lo prese per sfinimento tra un’insistenza e l’altra.

Di Fausto Coppi non ce ne sono più in gruppo. Di treni invece ce ne sono ancora. E non solo in gruppo. Scorrono sui binari e se ne fregano del Giro d’Italia. E se nella quotidianità accumulano ritardi, al Giro d’Italia lo dimezzano. Se ne fregano dell’equità i treni.

Oggi hanno frenato il tentativo di evasione degli avanguardisti. Durante lo scorrere della 10a tappa del Giro d’Italia 2021 la fuga ha trovato le sbarre del passaggio ferroviario abbassate. Il treno è passato e queste si sono alzate prima che il gruppo li riprendesse. Per il regolamento è incidente di percorso, gli inseguitori non vanno fermati, il distacco non si congela. Fregati i primi, che poi sono gli ultimi in quanto in meno, agevolati gli inseguitori. Così è la legge del ciclismo, anche se non vi pare.

Stop that train I’m leaving / It won’t be too long whether I’m right or wrong / I said it won’t be too long whether I’m right or wrong

Giusto o sbagliato è andata così. Fermate il treno devo scendere, non lo ha detto nessuno. Il treno è passato alla faccia di Stop the train di Bob Marley.

Simon Pellaud (Androni Sidermec), Samuele Rivi (Eolo Kometa), Taco Van der Hoorn (Intermarché Wanty Gobert), Kobe Goossens (Lotto Soudal) e Umberto Marengo (Bardiani Csf Faizanè) si sono fermati, hanno atteso, hanno visto il loro vantaggio evaporare, sono ripartiti. Sarebbe cambiato poco o niente se ci fosse stata la neutralizzazione. La Bora-hansgrohe oggi ha fatto corsa dura, difficile per molti (da Groenewegen a Merlier, da Nizzolo a Moschetti), impossibile per chi aveva voglia di evasione. Hanno trasformato una tappa potenzialmente noiosa in un carnevale di velocità.

All my good live I’ve been a lonely man / Teaching people who don’t overstan’ / And even though I’ve tried my bes’ /
I still don’t find no happiness

C’era niente da fare per i coraggiosi. Oggi non poteva non vincere la legge del gruppo. Peter Sagan grazie ai suoi compagni di squadra ha iniziato la volata a 55 chilometri dall’arrivo, l’ha conclusa a pugno alzato sotto lo striscione d’arrivo. Un treno pure il suo. Oggi ad alta velocità.


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