
Il duro mestiere del cacciatore di fughe al Giro d’Italia
09/05/2023Il mestiere dell’avventuriero da fuga nel ciclismo è complicatissimo e parecchio ingrato. Se becchi la fuga tutto bene, se non arrivi al traguardo un po’ meno bene, se gli avanguardisti vanno e tu non sei là con loro c’è il rischio di fare la figura del fesso. È un attimo. E le fughe nei primi giorni di un Giro d’Italia, soprattutto alle prime tappe mosse, sono un bel problema. Le gambe sono buone per tutti e non ce ne è uno che non ha un buon motivo per provare a stare davanti. Così i chilometri passano e si accumulano e nulla si evolve davvero. Tutti lì, nonostante gli sforzi.
Oggi Ben Healy e Alessandro De Marchi hanno provato e riprovato un numero di volte difficilmente calcolabile, in ogni caso altissimo, a far nascere la fuga buona. Non ci sono riusciti. Verrebbe da dire peccato, ma questo toglierebbe stima e considerazione a quelli che invece la fuga buona sono riusciti a farla partire. In ordine alfabetico: Vincenzo Albanese, Warren Barguil, Nicola Conci, Amanuel Ghebreigzabhier, Andreas Leknessund, Aurélien Paret-Peintre e Toms Skujins.
Ben Healy (ma che bel corridore, non esteticamente sia chiaro, si sta dimostrando l’irlandese?) non è da molto in gruppo, è furbo e talentuoso, nelle gare di un giorno ha già dimostrato di saper andare fortissimo, sta piano piano imparando anche a muoversi in gruppo nelle corse a tappe di tre settimane. Alessandro De Marchi è invece un esperto avventuriero delle fughe, un avanguardista raffinato, che sa come muoversi e come comportarsi. Eppure, non difettando d’esperienza, oggi là davanti non è riuscito ad esserci. Succede. Chi però s’è messo a vedere la quarta tappa del Giro d’Italia presto ha potuto ammirare quanto è faticoso, difficile, aleatorio, centrare una fuga.
Ed è importante vedere questo, perché è pieno di San Tommaso in giro. In osteria, ai tempi del mio pionierismo ciclistico, e pure poi e anche ora a dire il vero, è pieno di gente che sintetizza in un no l’è neanca bon de ciapar na fuga (che credo possa essere declinato in tutti i dialetti d’Italia facilmente). Fosse facile prendere una fuga. Soprattutto a inizio Giro. Che si sa che tira più stare nella fuga che un carro di buoi.
La fuga oggi è arrivata all’arrivo. Sul Colle Molella Andreas Leknessund (Team DSM) ha provato a staccare tutti perché poter finire in un titolo con “tappa e maglia” è sempre un gran bel vedere. Aurélien Paret-Peintre (AG2R Citroën Team) non era dello stesso avviso. La tappa la voleva lui e se l’è presa. Quel che è giusto è giusto. A uno la tappa, all’altro la maglia, vecchia regola non scritta del ciclismo.