Pogacar, van der Poel e l’illusione del Giro delle Fiandre 2022

Pogacar, van der Poel e l’illusione del Giro delle Fiandre 2022

03/04/2022 0 Di Giovanni Battistuzzi

Mathieu van der Poel ha vinto il Giro delle Fiandre 2022. Gli allunghi di Tadej Pogacar e le insidie nascoste della Ronde


Lasciare il manubrio a se stesso per alzare le braccia al cielo è qualcosa solitamente riservato a chi vince. È la dote concessa a chi, ormai a un passo dalla linea d’arrivo, può fregarsene del controllo della bicicletta per concentrarsi sulla, sacrosanta, autocelebrazione. L’esplosione gaudente del realizzarsi delle proprie velleità.

A volte può capitare che quelle mani protese verso il cielo siano l’anticipazione di una beffa incredibile, una vittoria solo presunta e svanita negli ultimi centimetri di una corsa che magari aveva superato uno dopo l’altro centinaia e centinaia di chilometri.

Beffe che rimangono talmente impresse negli occhi e nella memoria dei tifosi che quasi sempre inglobano e annullano il nome di chi ha vinto e concedono al ricordo soltanto il nome e il cognome dell’incauto esultante beffato. Ci si ricorda di Eric Zabel alla Milano-Sanremo del 2004 o di Julian Alaphilippe alla Liegi-Bastogne-Liegi 2020 ben più di Oscar Freire e Primoz Roglic. È come se l’esultanza sbagliata avesse inglobato e soppresso quella legittima.

A volte tutto questo però concede una variazione sul tema.

Il primo ad alzare le mani al cielo nell’edizione 2022 del Giro delle Fiandre è stato Tadej Pogačar. Un’alzata di mani di quelle che raramente capitano, di disappunto e arrabbiatura, l’evidenza plastica e dinamica di ciò che poteva essere, ma non è stato.

Almeno nel levare via le mani dal manubrio Tadej Pogačar ha anticipato Mathieu van der Poel. L’olandese c’ha impiegato qualche secondo in più, l’ha fatto qualche decina di metri dopo, a traguardo superato e a libidine e gioia già ottenuta. L’ha fatto dopo aver scosso l’aria di Oudenaarde con il pugno e urlato la sua felicità. L’ha fatto perché andava fatto, perché è quello che aspettava di fare da un anno, da quando aveva visto Kasper Asgreen prendersi quello che lui aveva conquistato un anno prima e si sarebbe preso volentieri ancora. Certe corse non sono poi diverse da certi dolci per i quali un posto nello stomaco si trova sempre, anche al termine di un lungo e abbondante pasto.

Mathieu van der Poel ha vinto il Giro delle Fiandre 2022, quello che Tadej Pogačar avrebbe voluto per sé e che forse sentiva suo. Perché se non ci fosse stato lui a dare il via a tutto sarebbe finita sicuramente in un altra maniera. Quale non ci è dato saperlo.

Tadej Pogačar doveva essere penalizzato dall’inesperienza: era alla sua prima Ronde. Dell’esperienza se ne è fregato amabilmente. Conta niente l’esperienza quando si ha a che fare con un talento smisurato. E poi non aveva già fatto le prove alla Dwars door Vlaanderen?

S’era già visto di poter dire a tutti che uno come lui è nato pronto e che l’attesa dell’esperienza è qualcosa di tutto sommato accessorio.

E potrebbe dirlo ancora. Perché sull’Oude Kwaremont – secondo passaggio – sembrava salisse sull’asfalto e non sulle pietre.

Perché sul Koppemberg aveva disintegrato le velleità di tutti. E così ancora sull’Oude Kwaremont – terzo passaggio -, a eccezione almeno di Mathieu van der Poel.

L’olandese si era fatto cogliere impreparato a oltre settanta chilometri dall’arrivo, ma era rientrato e aveva subito capito che lo sloveno non scherzava, faceva terribilmente sul serio. E che nulla gli poteva essere concesso, nemmeno la minima distrazione.

I muri del Giro delle Fiandre Mathieu van der Poel li conosce bene da quattro anni a questa parte. Li ha sempre trovati conformi ai suoi sogni. E pure gentili, se si può davvero trovare gentili stradine in pavé che salgono spesso e volentieri con pendenze a due cifre e a volte pure con il due davanti.

Mathieu van der Poel oltre a conoscere la Ronde, ha iniziato a conoscere bene se stesso. S’era spesso illuso di essere senza fondo in questi suoi primi anni di corse. Il fondo però l’aveva trovato, e più volte, sebbene fosse parecchio profondo. In questo suo viaggio dentro di sé, è riuscito a capire cosa può fare, cioè quasi tutto, cosa non può fare, e soprattutto quando può fare quello che può e sa fare. Ha iniziato a capire quanto vale il suo scatto e sino a che punto può allungarlo o accorciarlo. La maturità nel ciclismo è anche questo, una condizione di conoscenza e di autocoscienza.

Mathieu van der Poel e Tadej Pogačar su ogni muro del Fiandre avevano dimostrato di essere i più forti. E senza margine d’errore. Un livello superiore a tutti di qualche spanna.

La superiorità però è spesso foriera di malintesi. E ci vuole una gran bella capacità di analisi e di calcolo delle variabili per tradurla in successi. Soprattutto in una corsa che “non basta una laurea in ingegneria per comprenderla davvero. Ci vuole pure molta fede”. O così almeno per Claude Criquielion che la Ronde la vinse nel 1987.

La superiorità ascensionale Mathieu van der Poel e Tadej Pogačar hanno iniziato a metterla in discussione negli ultimi tre chilometri. Nessuno dei due pedalava più come sino a qualche istante prima. Rallentare un filo e incominciare a fare i conti con le energie è legittimo, è sempre stato così. Ma la legittimità deve sempre fare i conti con la realtà, soprattutto quella crudele e senza possibilità di mediazione delle corse.

E così è successo che nell’ultimo chilometro hanno iniziato a tergiversare un po’ troppo. Dylan van Baarle e Valentin Madouas si avvicinavano metro dopo metro, secondo dopo secondo. Erano lì, a colpo d’occhio, a colpo di naso, a colpo di dito. I due davanti lo sapevano, ma avevano fatto i loro conti. Conti che per almeno uno dei due si sono rivelati sbagliati.

Inseguire a volte è più semplice, si ha niente da perdere in fin dei conti. Sono quelli davanti che da perdere e tanto ce ne hanno.

Mathieu van der Poel ha rischiato sapendo benissimo che carte aveva in mano: coppia d’assi con altri due in tavola. Tadej Pogačar pensava di avere una scala reale, ma non era così. Si era confuso un cuore con un quadro. Capita in una corsa come il Giro delle Fiandre che è un’illusione continua. Basta prendere il numero di metri di dislivello, 2.289. Non sono quelli. Perché quella cifra non tiene conto dei millimetri tra una pietra e l’altra, che sommati fanno una cifra astronomica.

Tadej Pogačar ha dimostrato che prima o poi quelle mani le alzerà per davvero al cielo di Fiandra. E quella volta per gioia e non per commiserazione.

Ma ci vorrà ancora un po’, almeno dodici mesi.