
Giro delle Fiandre. Gerard Debaets, un transatlantico di pavé
29/03/2022Gerard Debaets fu il primo corridore a conquistare per due volte il Giro delle Fiandre: il primo Flandrien della storia
Si innamorò della bicicletta per prossimità. D’altra parte gli bastava uscire dalla porta del caffè che gestiva la sua famiglia per trovarsi accerchiato dalle biciclette. Doveva solo attraversare la strada. Centocinquanta passi soltanto e c’era il velodromo.
Era immerso nel verde del parco che stava davanti alla fabbrica della Couronne. Ogni tanto quei centocinquanta passi diventavano cinquecento. Giusto per dare un’occhiata alla vetrina del punto vendita aziendale. Si appoggiava alla vetrina sino a quando il fiato ricopriva di condensa il vetro e non gli faceva vedere più all’interno. Allora si spostava di qualche passo e poi qualche passo ancora. C’erano certi velocipedi là dentro che erano una meraviglia.
Il primo a salire su uno di quei velocipedi era stato suo fratello più grande, Michel. Se lo meritava mica un mezzo così: era un fifone, tirava sempre i freni. Lui no, non l’avrebbe mai fatto, diceva. E a tutti, tutti quelli con cui parlava di velocipedi. Era mica un fifone lui. La gente lo lasciava parlare, mica si può far tacere un ragazzino.
Appena riuscì a mettere su qualche centimetro, quelli necessari ad arrivare ai pedali iniziò a rubare la bici al fratello. Era mica una da corsa però. E lui ne voleva una da corsa per far vedere a tutti che era il più veloce.
Si mise a cercare un lavoro. Ne trovò un paio e si fece un gruzzoletto buono per comprarsene una seria, una col manubrio all’ingiù.
E quando arrivò al velodromo con il suo velocipide disse a tutti che per loro era finita la pacchia, che ora era arrivato quello del formaggio.
Lo derisero tutti. Smisero quasi subito.
Ci volle poco a spargere la voce che a Kortrijk c’era un folle che in pista faceva cose mai viste. Pure le ragazzine per bene della città si misero a bordo pista per vedere quel biondino dai tratti raffinati, bello e coraggioso. Ci volle ancor meno a far battere loro il cuore.
Per Gerard Debaets la bici divenne ben presto un pretesto buono per altri giochetti. Volava nei velodromi e atterrava tra le lenzuola. Volava a tal punto che presero a chiamarlo campione. Avrebbe continuato a fare soltanto questo, perché questo era ciò che amava fare, se René Vermandel, che in pista era corridore tosto e pure sulle pietre era un gran bel vedere, non avesse messo in dubbio il suo talento: “Macché campione. Campioni lo si è davvero solo se si dimostra di esserlo nelle grandi corse. E le grandi corse sono solo quelle sulle pietre”, osò dire alla stampa.
Fu allora che Gerard Debaets decise che gliela avrebbe fatta vedere lui a quello sbruffone. Gli diede appuntamento al Giro delle Fiandre. Passò mesi ad allenarsi e quando quel 18 marzo del 1924 si schierò al via di Gand, si sentiva di un bene che metà gli sarebbe bastato. I due fecero corsa affiancata per quasi duecento chilometri, poi sul Kwaremont, il bel Gerard accelerò quel tanto che bastò per disperdere il rivale. Il traguardo lo passò in solitudine tra due ali di folla. Ci prese gusto.
Iniziò a girare l’Europa per gare e velodromi, provò pure il Tour de France ma capì che non era per lui.
Girò a tal punto che finì al di là dell’Atlantico.
Era l’inverno del 1925 e sbarcò a New York perché un buon assegno non è cosa da rifiutare. La trovò interessante. Gli avevano proposto un contratto di quattro anni per girare tutti i velodromi d’America, una Sei giorni dopo l’altra.
Lasciare casa però non è mai facile, soprattutto quando il cuore inizia a battere per una bella fiamminga di buona famiglia, per di più appassionata di biciclette. E così stracciò il contratto dopo nemmeno sei mesi e ritornò in Belgio.
Quando capì che la bella fiamminga era appassionata pure di ciclisti oltre che di biciclette, si mangiò le mani, inveì contro la sorte e soprattutto se stesso, riprese il transatlantico e riconquistò New York con l’idea di non lasciarla più.
Gli piaceva l’America. Ci stava bene, aveva fama, soldi e donne. Cosa poteva volere di più?
Niente. Non fosse stato per quell’idiota orgoglio che lo perseguitava…
Se lo sentiva che non doveva rispondere al telefono quel giorno. E invece rispose.
Dall’altro capo del filo c’era Karel van Wijnendaele. Aveva una bella parlantina, diceva che un corridore come lui doveva assolutamente correre la corsa più importante e bella, la Ronde. Seee, grazie tante te la sei inventata tu la Ronde, ovvio che dici questo, pensò. Gli aveva pure offerto qualche soldo e qualche ingaggio per delle riunioni su pista. Bei soldi per carità, ma niente a che vedere con quello che prendeva in America. Stava per riattaccare quando quel maledetto del Karel sibilò, “ma se hai paura di far vedere che non vali niente, non importa…”. Accettò all’istante. Che nessuno si può permettere di dire a Gerard Debaets certe cose.
Gerard Debaets scese dal transatlantico il 2 aprile del 1927. La mattina dopo si schierò al via del Giro delle Fiandre. Nel pomeriggio al velodromo di Gentbrugge sfilò per primo.
Aveva un sorriso enorme Debaets, un sorriso che svanì quando guardò il premio riservato al vincitore: “Faccio il triplo ai velodromi”, disse agli organizzatori. Se ne tornò subito in America con la promessa di non gareggiare più per due soldi nonostante le parole al miele che van Wijnendaele gli dedicò: “Un Flandrien è un ciclista che fa una gara difficile optando costantemente per l’attacco e continuando a pedalare fino a quando non raggiunge il traguardo stanco morto. Debaets è un vero Flandrien”, il primo a conquistare due volte il Giro delle Fiandre.