
Tre birre per un Giro delle Fiandre
03/04/2021Lo “stupido pazzo” divenuto “Il cavaliere della morte di Lichtervelde”. La grande Ronde di Henri Van Lerberghe e quelle pinte bevute alla faccia degli avversari che non credevano alle sue promesse
Quando tornò dal fronte dell’Yser al suo paese, Lichtervelde, quasi nessuno lo riconobbe. Era magro come una scopa e bianco come un cencio. D’altra parte quattro anni in trincea sono una prova dura per chiunque, anche per chi alla fatica c’era abituato da sempre. Henri Van Lerberghe a faticare non aveva problemi, ma su di una bicicletta e solo se dopo c’era in programma una grossa mangiata. Henri Van Lerberghe, lo chiamavano Ritte, e la bicicletta la conobbe presto e presto capì che per trovare da mangiare era meglio faticare su un velocipide che in un campo a cogliere patate. Aveva capito anche che il traguardo finale dà gloria, ma quelli intermedi riempiono le tasche di cibo e di quattrini. E così menava sui pedali da subito, faceva incetta di premi. Durante il primo Giro delle Fiandre del 1913 provò l’assolo a trecento chilometri dal traguardo (su 345): finì quattordicesimo. L’anno successivo a 240, finì secondo. Andò meglio al Tour de France del 1913, quando decise di lasciare tutti a un centinaio di chilometri dall’arrivo e non lo videro più. Quel giorno, era il 7 luglio, prima dell’avvio aveva avvisato tutti: “Oggi vi uccido”. E quando ci riuscì davvero, si esaltò a tal punto che iniziò a dirlo a ogni corsa. Sino ad allora Ritte per tutti era “lo stupido pazzo”, da quel giorno diventò “Il cavaliere della morte di Lichtervelde”.
Quel “oggi vi uccido” lo disse anche al via del Giro delle Fiandre del 1919, il primo dopo la fine della Grande guerra. Tutti risero. E non solo perché lo diceva ogni volta, soprattutto perché quel giorno, quel 23 marzo, giunse alla partenza a piedi, senza una bici e fumando una sigaretta. Ritte fece spallucce e ribadì: “Oggi vi uccido tutti e vi vedrò arrivare uno per uno”. Riuscì a trovare una bici e i dieci centesimi d’iscrizione. Partì dietro a tutti. E dietro a tutti pedalò a lungo. Si fermò a mangiare nell’osteriola di un commilitone. Quando rientrò sui primi di chilometri al traguardo ne mancavano 140. Venti chilometri dopo, su di un leggero pendio in pavé, scattò e tutti pensarono: “Ecco il solito povero pazzo”.
Ritte macinò chilometri come un treno. E quando un treno lo trovò davvero, vagoni su vagoni fermi a bloccar la strada ai corridori, si mise la bici in spalla, salì a bordo e discese dall’altro lato della strada. Ritte pedalava evitando le buche tra ruderi che un tempo furono case. E quando giunse a Gent quasi non si accorse di essere in un città. Proseguì dritto. Fu un uomo della giuria ad accorgersi che aveva sbagliato strada e a rincorrerlo per un chilometro prima di ricondurlo verso il velodromo. E quando c’entrò una folla chiassosa iniziò ad applaudirlo e un uomo con un megafono a urlare: “E’ arrivato il primo corridore, è arrivato il primo corridore”. Superato il traguardo sorrise e chiese una birra. Disse: “Ora me ne bevo una ogni cinque minuti”. Se ne scolò tre litri prima che Léon Buysse, fratello di Marcel primo vincitore della Ronde, arrivasse. Ritte lo salutò e beffardo gli offrì il boccale dicendo: “V’avevo detto che oggi vi ammazzavo tutti”.