Girodischi. Le “Parole” in Giro prima di Merlier

Girodischi. Le “Parole” in Giro prima di Merlier

10/05/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Che cosa sei, che cosa sei, che cosa sei / Cosa sei / Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai / Proprio mai“. A poco più di un chilometro dall’arrivo della seconda tappa del Giro d’Italia 2021 Filippo Ganna ed Edoardo Affini si sono ritrovati affiancati in testa al gruppo. A sinistra la maglia rosa, a destra la maglia ciclamino. Dietro di loro due file di uomini in bicicletta questuanti di una scia che rendesse il loro incedere un po’ più semplice. Di meglio non potevano chiedere. Avanti a loro avevano i due uomini che il giorno prima avevano tagliato meglio l’aria (abbastanza ferma) di Torino a cronometro. Il primo e il secondo della classifica generale.

Si sono dati soltanto un’occhiata sghemba, di sfuggita. Hanno impresso sui pedali tutta la forza che avevano a disposizione per allungare il gruppo, sgranare i pericoli della volata. Ganna in questo modo cercava di eliminare intoppi al capitano Egan Bernal, Affini cercava di disperdere i pretendenti alla vittoria per favorire il compagno di squadra più veloce, Dylan Groenewegen. Entrambi, per come è andata, possono dirsi soddisfatti. Il colombiano se ne è stato al sicuro, l’olandese è finito quarto, niente male per uno che non correva da agosto e che da agosto porta addosso il peso di un disastro, quello di Katowice.

Gli ultimi chilometri della seconda tappa del Giro è stato il momento del sibilo delle ruote, del ticchettare metallico delle catene che scorrevano sulla moltiplica più grande e sul pignone più piccolo. Il tempo al massimo di un hop o di un vai, o al massimo di un allez. Le parole erano scomparse dal gruppo. Le stesse che lo avevano riempito sino a poco tempo prima.

Parole, parole, parole / Parole parole, parole / Parole, parole, parole / Parole, parole, parole / Parole, parole, parole / Soltanto parole / Parole tra noi“. Come quelle di Mina, ma senza la voce di Mina. Parole non d’amore, ma scherzi, discorsi, battute, risate. Parole, chilometri di parole, oltre centossessanta. Perché altro non c’era da fare ieri.

Tre uomini in fuga non possono fare paura. Soprattutto al secondo giorno di gara. Soprattutto quando è bastata un’intesa nelle ammiraglie per decidere che un uomo a testa per ogni squadra poteva bastare per tenere sotto controllo la situazione. Gli altri tutti dietro, protetti dal cuneo che fendeva l’aria dei gregari da pianura, gli unici in silenzio mentre alle loro spalle era un parlottio continuo. Strade larghe, lunghi rettilinei, velocità di crociera costante, assenza di vento e di salite. Lo scenario ideale per allentare almeno un poco la concentrazione e dedicarsi al chiacchiericcio. Lo hanno fatto tutti. Compagni di squadra con compagni di squadra, amici con amici indipendentemente dal colore della maglia indossata. Il modo migliore per passare quelle quattro ore abbondanti prima che si materializzasse ciò che doveva materializzarsi, la volata di gruppo.

Ci sono giornate dove poco si può inventare e quelle che deve accadere puntualmente accade. Checché ne pensino Filippo Tagliani, Vincenzo Albanese e Umberto Marengo, primi avanguardisti del Giro, viandanti per oltre centocinquanta chilometri nella speranza, assai remota, che il gruppo si dimenticasse di loro.

Non è successo. Le maschere della commedia dell’arte del Giro hanno rispettato le indicazioni del solito catenaccio.

È successo che le parole del gruppo si sono placate, che le ruote fuggitive sono state inglobate da quelle inseguitrici e che nel turbine veloce di biciclette lanciate a sessanta all’ora una è stata più veloce delle altre, quella di Tim Merlier, belga della Alpecin-Fenix.