
Giro d’Italia 2021 – Il sole di Giulio Ciccone
17/05/2021Negli ultimi trecentocinquanta metri della nona tappa del Giro d’Italia 2021, Giulio Ciccone si è girato solo una volta a guardare indietro. L’ha fatto a circa settancinque metri dall’arrivo, un’occhiata soltanto, giusto per fotografare di sfuggita la situazione. Quello che stava accadendo alle sue spalle non gli interessava davvero. Chi c’era o chi non c’era dietro di lui non contava, così come non contava quanto spazio s’era formato tra lui e chi lo inseguiva.
L’unica cosa di cui gli importava era ciò che vedeva davanti alla sua ruota. Che poi era l’unica cosa a cui non voleva assistere. La schiena di Egan Bernal che si allontanava metro dopo metro amplificava la sua estraniazione dal contesto. Non era così che aveva immaginato il suo incedere verso lo striscione d’arrivo di Campo Felice. Anche un solo corridore davanti era un corridore di troppo. Avrebbe voluto vincere la tappa.
La desiderava un po’ per togliersi dalla mente le immagini di qualche anno prima. Sempre quelle ruote che giravano sulla terra, sempre quella schiena a rovinargli la visuale della linea d’arrivo. Era l’11 luglio del 2019, era il Tour de France, gli ultimi metri della tappa che portava oltre la solita cima de La Planche des belle filles. Quel giorno Dylan Teuns lo precedette di undici secondi. Arrivò la maglia gialla, un onore incredibile, ma quella era pur sempre una vittoria sfumata d’un soffio.
La desiderava soprattutto perché quelle erano le sue terre e un successo vicino a dove si è nato e cresciuto (Campo Felice dista da Chieti poco più di un centinaio di chilometri stradali, molto meno in linea d’aria) vale più che altrove. Non tanto per ragioni campanilistiche, tutto ciò è valido ovunque. Perché, in fin dei conti, vale sempre la regola che espresse a suo modo Bernard Hinault quando vinse il prologo del Tour de France del 1985 a Plumelec nella sua Bretagna: “Sono contento, vale molto questa vittoria. Non tanto per l’andamento di questa Grande Boucle, ma per il passato. Vincere qui è un modo per mettersi a pari con chi ti prendeva per il culo da piccolo”.

Giulio Ciccone avrebbe fatto carte false per vincere a Campo Felice. Si è dovuto accontentare di essere stato il primo dei battuti. “So che ho una buona condizione ma non voglio mettermi e non mi faccio mettere soprattutto grosse pressioni, voglio vivermela così, come viene”, ha detto ieri al Processo alla Tappa.
“Oh my friend you haven’t changed / Looking rough and living strange / And I know you′ve got a taste for it too“
Non cambia Giulio Ciccone. Il suo ciclismo è leggero, un prendere ciò che c’è senza farsi troppi problemi. Il suo ciclismo è resistente, voglia indomita di fare il meglio possibile, di cercare di ribaltare il certo. È un ciclismo di inventiva e di azzardo che dovrà fare i conti ora con il rigido raziocinio della classifica generale. L’hanno sempre trattato come un mezzo folle, uno sprecone d’energie, un attaccante che non faceva calcoli e proprio per questo se ne restava ai margini delle prime posizioni a fine Giro.
“Don′t look back into the sun / Now you know that your time has come / And they said that it would never come for you“
Giulio Ciccone ha il ritmo dei Libertines sulle pedivelle. Non si guarda indietro, va avanti aspettando di capire dove potrà arrivare. Guarda l’orizzonte che sta al di là della strada, un orizzonte montano, fatto di tornanti e pendenze, di fiato e leggerezza. Giorno per giorno, chilometro per chilometro, con l’animo di chi potrà sempre dire mica ero venuto qui per fare classifica. Il sole di Giulio Ciccone resta lì, appeso all’estro di un momento, non ha nuvole che lo oscurano. Scalda il giusto, primaverile. Come il Giro, che cerca di scappare dal fresco della primavera per abbracciare il calore dell’estate. Un’estate che però sembra sfuggirgli, come fosse impossibile da agguantare.
La puntata precedente di Girodischi la potete leggere qui
Qui invece trovate lo speciale sul Giro d’Italia 2021