
Giro d’Italia. L’insegnamento del Bondone
23/05/2023C’avevano mica paura di affrontarsi Geraint Thomas, Primoz Roglic e João Almeida al Giro d’Italia. Solo che aspettavano il momento giusto. Hanno deciso che era il Monte Bondone il momento giusto. Perché il Monte Bondone è una di quelle salite che meritano di essere percorse facendosi battaglia. E non tanto perché è stato luogo di battaglie passate, che ce ne sono state, alcune talmente terribili – anche per il clima infame – da essere ricordate ancora nonostante i decenni e i decenni passati. È una salita che merita di essere pedalata facendosi battaglia perché è dura, ma non impossibile, perché ha dei momenti che ti concede respiro, prima di ricominciare a salire cattiva. Sono umani anche i corridori, anche se non sempre ce lo vogliamo ricordare, hanno bisogno di riprendere ossigeno per riannodare gambe e pensieri. Poi fanno di tutto per perdere di nuovo strada facendo gambe e pensieri.
Arriva sempre il momento giusto. Certo meglio prima che poi, si è portati a pensare. È sempre meglio prima che poi, così sembra che il Giro d’Italia si allunghi. Ce ne è bisogno, perché in fondo tre settimane passano subito quando ci sono i grandi giri, sono un lampo. E col Giro è sempre così, inizia maggio e puff è giù giugno.
Se il meglio è tutto alla fine però il prima si dilata, rallenta, diventa dopo, a volte parecchio dopo, perché in fondo la gamba serve al momento giusto e il momento giusto è sempre quando le salite sono lunghe e alte e le tappe sono un vagare montano. Tra Sabbio Chiese e il Monte Bondone c’erano 204 chilometri e 5.200 metri di dislivello, giovedì ci sono in programma 161 chilometri e 3.700 metri di dislivello, venerdì 183 chilometri e 5.400 metri di dislivello. Sabato il gran finale prima del gran finale: in 18 chilometri e 600 metri si sale per 1.050 metri. Ci sono chilometri da fare, montagne da salire, pochi giorni ancora da correre, quelli decisivi.
João Almeida ha attaccato, sa attaccare il portoghese, non è solo quel magnifico segugio che si attacca alle ruote dei migliori e non lo stacchi nemmeno a sparargli. Gli abbiamo voluto bene per quello, gliene vorremo di più. Geraint Thomas ha attaccato. Voleva la solitudine della ribalta, si è accontentato di procedere con Almeida verso il traguardo. S’è ripreso la maglia rosa, sorrideva. Primoz Roglic avrebbe voluto attaccare, si è ritrovato a inseguire, ad attaccarsi alla speranza di non perdere troppo e alla ruota di Sepp Kuss. Non ci fosse stato sarebbe stato peggio. Ma c’era, in qualche modo si è salvato.
Almeida, Roglic e Thomas si rincontreranno a naso all’insù. Hanno in mente la stessa cosa, la maglia rosa. Sono rimasti loro quelli che ci credono ancora davvero al primo gradino del podio di Roma. Sono rimasti loro tra i tanti che c’erano, ma poi, uno dopo l’altro, per un motivo o per un altro, hanno dovuto desistere. Sono rimasti loro e forse Damiano Caruso e Eddy Dunbar.
Tutto sanno che di chilometri ne hanno pedalati tanti, che di metri di dislivello nelle gambe ne hanno molti, non tutti sono stati utili.