Giro d’Italia. Una danza di polvere e pedali

Giro d’Italia. Una danza di polvere e pedali

19/05/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Verso Montalcino la Ineos-Granadiers ha deciso che non c’era nessuna buona ragione per dannarsi le gambe all’inseguimento dei fuggitivi. Hanno pedalato con calma, disinteressandosi del distacco che saliva sino a superare i dieci minuti e cresceva ancora.

Alla squadra inglese non interessava vincere la tappa, per quanto affascinante e difficile come la Perugia-Montalcino, undicesima frazione di questo Giro d’Italia. L’unica preoccupazione che avevano era quella di difendere la maglia rosa di Egan Bernal e, magari, agevolare l’incedere del colombiano, preparargli la strada per un eventuale attacco. Se qualcun altro fosse stato interessato a correre per vincere oggi gli avrebbero concesso volentieri la testa del gruppo. Nessuno si è presentato e gli avanguardisti hanno avuto strada libera.

Una corsa a tappe di tre settimane è anche cosa da economi. Vanno soppesate le energie, centellinati gli sforzi, esclusi quelli inutili o poco produttivi. Per Fiorenzo Magni un grande giro era “un gran ballo di gala”, nel quale “serve capire dove si è e cosa si sta facendo, soprattutto evitare di sbagliare ballo”. E quando l’asfalto lascia lo spazio allo sterrato capire questo diventa una questione di sopravvivenza.

Era il Giro d’Italia del 1955 quando Magni paragonò le strade non asfaltate a un valzer. Uno viennese, d’andamento veloce e spigliato, nel quale i passi sono più difficili da improvvisare. Il 4 giugno applicò il concetto verso San Pellegrino terme. In un tratto di ghiaia particolarmente complesso, il toscano accelerò. Aveva montato palmer più larghi e lo stesso aveva consigliato di fare a Fausto Coppi che seguì il consiglio capendo gli intenti guerriglieri del corridore della Nivea-Fuchs.

Quel Giro sembrava ormai vinto da Gastone Nencini. Era la penultima tappa e di grosse difficoltà altimetriche non ce ne erano. C’era solo quel tratto particolarmente sconnesso. Pochi chilometri nei quali Magni e Coppi seminarono tutti gli avversari. Avevano le scarpe adatte al ballo. Conoscevano soprattutto i passi. A San Pellegrino terme vinse l’Airone, il Terzo uomo conquistò il suo terzo Giro d’Italia.

Che gli sterrati siano un valzer se ne sono accorti in molti oggi.

E gira tutto intorno alla stanza mentre si danza, danza / E gira tutto intorno alla stanza mentre si danza

La stanza a cui si riferiva Franco Battiato (che ci ha salutato ieri) in “Voglio vederti danzare“, è girata per molti. Per Dan Martin e Davide Formolo, che si sono incartati subito coi passi. Per Jai Hindley e Pello Bilbao che non sono riusciti a rimanere a tempo. Per Remco Evenepoel, ritrovatosi a muoversi seguendo un ritmo che non conosceva a perfezione.

“Voglio vederti danzare” sembrava dire Egan Bernal quando dopo poche centinaia di metri del primo tratto di sterrato si è voltato a vedere come se la cavava il belga. Gli è bastata un’occhiata per capire che ballava mica bene. Filippo Ganna ci ha dato dentro, ha sparpagliato qua e là uomini e velleità. Ha attraversato la polvere facendo perdere l’orientamento a molti.

Voglio vederti danzare / Come i dervishes turners che girano / Sulle spine dorsali / O al suono di cavigliere del Katakali

E tanti dervisci sembravano i corridori. Volteggiavano in tondo, mentre la Ineos aveva deciso di ballare in un’unica direzione, lungo una pista da ballo che a tutti sembrava un toboga, mentre a loro appariva liscia e dritta e lunghissima.

Un derviscio era Evenepoel che sembrava muovere i pedali a vuoto alla ricerca di un rapporto che non trovava, di un ritmo che non percepiva. Volteggiava a volte leggero, a volte pesantissimo, completava cerchi e semicerchi mentre la via retta sembrava sfuggirgli sotto le ruote.

Intanto Egan Bernal avanzava, sfruttava l’aiuto della EF che cercava a sua volta di sfruttare l’occasione per agevolare Hugh Carthy nella sua rincorsa al podio, poi ripartiva, abbandonando tutti gli altri ai loro passi incerti.

Egan Bernal verso Montalcino ha attraversato la polvere, ha evitato il suo abbraccio, l’ha reso appiccicoso per gli altri. Sotto lo striscione d’arrivo c’è arrivato tre minuti e nove secondi dietro a Mauro Schmid, ma ben prima di tutti gli altri pretendenti alla maglia rosa. Ha iniziato a scavare un solco tra lui e il resto del gruppo: 45″ avanti ad Aleksandr Vlasov, 1’12” su Danilo Caruso, 1’17” su Hugh Carthy, 1’22” su Simon Yates. Non un’enormità, ma quanto basta per iniziare a vedere con buon ottimismo al futuro.

Al futuro non c’ha pensato Mauro Schmid, non ne ha bisogno. Oggi aveva un gran bel presente da cavalcare, una nuvola di polvere da attraversare. L’ha fatto con dieci compagni di viaggio per un bel pezzo. Con Alessandro Covi negli ultimi chilometri, quelli che lo hanno lanciato sotto lo striscione d’arrivo di Montalcino. Gli è toccato brindare a prosecco nel mondo del Brunello. Il rosso d’altra parte non lo si lancia al vento, lo si gusta piano piano.