
Gp Monseré (e non solo). Più ex aequo, meno photofinish
08/03/2023I photofinish a volte sembrano non finire mai. E a volte non finiscono mai, vanno avanti tra incertezze e reclami, tra insoddisfazioni e lamentele. I photofinish servirebbero per vedere ciò che all’occhio umano viene difficile da vedere. A volte però non vedono nemmeno i photofinish e tocca sempre all’uomo interpretare ciò che il macchinario ha visto. Ed è sempre l’uomo a dover sistemare e ottimizzare il macchinario del photofinish. Ed è lì che si arriva al cortocircuito. Come è accaduto al Gran Premio Jean Pierre Monseré domenica 5 marzo: Gerben Thijssen della Intermarché Circus Wanty e Caleb Ewan della Lotto Dstny appaiati sulla linea di arrivo, immagine sfocata, linea d’arrivo non del tutto dritta (per essere gentili), vittoria al belga dopo molte discussioni e ricorso dell’australiano. Chissà come andrà a finire.
“Abbiamo presentato una richiesta ufficiale per vedere la prova fotografica del fatto che Gerben Thijssen abbia chiaramente preceduto Caleb Ewan sulla linea d’arrivo. Per il momento, questa prova non ce l’hanno presentata”, ha detto a Cyclingnews un portavoce della Lotto Dstny.
C’è una prova fotografica chiara? A vedere le foto che sono girate non sembra, ma non è questo il punto.

Il punto è che tutto questo sta diventando una forzatura, una sorta di trasposizione ciclistica della noiosissima moviola calcistica: un processo di Biscardi a due ruote.
Il punto è che il ciclismo si è affidato alla tecnologia e affidandosi alla tecnologia si è dimenticata di quella ottima soluzione che esisteva prima dell’introduzione della tecnologia per determinare vincitore e vinti: l’ex aequo.
Il Gp Monseré, i photofinish, l’ex aequeo
Ex aequo, che poi sarebbe contrazione di ex aequo et bono, in quantum aequius melius, ossia secondo ciò che è giusto ed equo, in quanto è meglio che sia più giusto. Insomma: l’organo giudicante ha la possibilità di disapplicare le norme esistenti e decidere in base alla sua coscienza.
Strana cosa la coscienza. Perché è giusto decretare un vincitore in una corsa che prevede un vincitore. Però forse non è sbagliato decidere che se due corridori arrivano appaiati all’arrivo e la distanza tra loro è minima, a volte qualche millimetro appena, a volte anche uno solo, si possa evitare di scegliere, dare la vittoria a entrambi. Soprattutto quando la tecnologia non chiarisce in modo evidente chi può vestire i panni del vincitore e chi quelli del vinto.
Due vincitori al posto di uno, due corridori sul primo gradino del podio, condivisione. È anche questo lo sport, condivisione. Che mica si possono condividere solo le sofferenze, pure le gioie possono essere vissute assieme. Come non è accaduto all’Amstel Gold Race del 2021 tra Tom Pidcock e Wout van Aert. Come è accaduto alla Parigi-Roubaix del 18 aprile 1949, quando vinsero, ma solo sette mesi dopo, sia il francese André Mahé, sia l’italiano Serse Coppi. Perché è vero che prima la vittoria fu attribuita a Mahé, con un tanto di mazzo di fiori, e poi a Serse, quando il francese era nella doccia, perché il giudice francese Henri Boudard notò, gli fecero notare quelli della Bianchi, che Mahé non aveva seguito il percorso ufficiale, aveva sbagliato strada.
Finì a carte bollate. Prima la Federazione francese ribaltò il risultato; poi quella italiana fece ricorso e così in agosto la Federazione internazionale stabilì che al diavolo tutto: la corsa era da ritenersi annullata. Infine sia la Federazione francese sia quella italiana fecero ricorso e in novembre la Federazione internazionale decise che era inutile dare la vittoria all’uno o all’altro: avevano vinto tutti e due, aveva vinto André Mahé, aveva vinto Serse Coppi.
Secondo coscienza.
E secondo coscienza non sarebbe sbagliato dire che il Gran Premio Jean Pierre Monseré l’hanno vinto sia Gerben Thijssen sia Caleb Ewan. Che di vincitori ce ne potrebbero essere benissimo due: chi vedendo le immagini del photofinish può sostenere senza incertezze di sapere chi ha vinto lo dica.