
Il Bartali furioso e il Giro di Toscana degli “zozzoni”. Storie dal Monte Serra
21/09/2016 0 Di Giovanni BattistuzziDieci chilometri e poco più di curve e tornanti. Da un lato il mar Tirreno, dall’altra la piana lucchese. La strada che sale costante, costante ma mai tagliente, di passo e di forza, non di strappi e di violenza. Il Monte Serra vetta della seconda tappa del Giro della Toscana, il Monte Serra che “va bene per capire se la gamba è buona, se di frutta ce n’è”, diceva Primo Volpi. Il Monte Serra che “c’è un’osteriola dove fanno delle trippe, ma delle trippe che non si ha un’idea”, diceva Gino Bartali. Il Monte Serra che in molti ci vanno a scalare e in molti di più a pedalare. Come nel 1950, come al Giro di Toscana, oggi come un tempo, sempre in partenza, un test per le gambe e poco più. Il bello verrà dopo.
Per approfondire: Girardendo e il primo Giro di Toscana
Allora era aprile, il 16, e a guardare il cielo alla partenza c’era poco da stare allegri. Gino Bartali aveva un brontolio che era peggio del solito, ché lui mica ci voleva essere alla partenza, ché tanto Fausto Coppi non c’era, ché il calendario era fitto e correre ogni tre giorni mica fa bene alla preparazione il Giro.
La corsa parte e la pioggia inizia, a scrosci. Infanga tutto, strade e facce, maglie e occhiali. La corsa parte ed è subito inseguimento, perché la fuga parte subito e prende distacco. La corsa parte e si capisce che sarà una giornataccia e non c’entra la pioggia. Duecentonovantotto chilometri segnati, ma già una deviazione ai primi chilometri per una frana. Sei chilometri in più fanno sapere gli organizzatori. Gli avanguardisti sono dodici e menano sui pedali, ma dietro è tutto tranquillo, i gregari di Bartali controllano mente Ginettaccio borbotta che l’è tutto da rifare. Verso Poggibonsi Martini, Nannini e Pasotti se ne vanno. Sul Monte Serra vengono raggiunti da Bresci, Fondelli e Pagliazza e dei 137 partenti ne sono rimasti una novantina. La corsa sonnecchia, la pianura lucchese è territorio adatto per una gita di piacere.
E’ sulle pendici che portano a San Marcello pistoiese che tutto s’infiamma. Testa di vetro Robic tenta di affondare il colpo, ma Primo Volpi risponde, contrattacca, fa il vuoto. Robic insegue ma fora due volte, manda al diavolo la sfortuna e Primo Volpi e abbandona. A due chilometri dalla vetta Bartali decide che è finita l’ora della tregua e inizia la guerra. Scatta, lascia tutti nella fanghiglia e si divora il vuoto alle spalle dei primi. Li raggiunge nella piana verso Firenze, se ne va con Primo, poi è volata, vittoria senza attenuanti.
Primo Volpi non se rammarica: “Arrivare secondo dietro Bartali era comunque un grandissimo onore”. Tutto bene. Anzi no. Perché i contachilometri delle macchine segnano 330 chilometri. E Ginettaccio non la prende bene: “So’ cose queste che nun le si fanno, che noi siamo onesti pedalatori e questi invece fan i bischeri. Anzi. Fan proprio li zozzoni”.
Bartali promette che “mai più al Toscana”. Bartali ci ripenserà. Dicono che a convincerlo fossero state più che le scuse, una fiorentina, una tinozza di bieta e fagioli e un litro di Chianti offerti la sera stessa nella migliore trattoria di Firenze. Ma queste sono voci, confermate da molti, ma mai diventate ufficiali.