
Il chilometro di Matteo Bianchi è un capolavoro
14/10/2022Ci sono poche discipline del ciclismo più antiche del chilometro da fermo. Primo maggio 1878, Parigi. Lucien Deussy e Theodore Frakk si sfidarono “in una tenzone velocipedistica sulla distanza di un chilometro”. Vinse il primo “infliggendo a Frakk il distacco di tredici secondi”, come da rilevamento cronometrico ufficiale. Quale fosse il rilevamento cronometrico ufficiale non ci è dato a sapere. Sappiamo neppure chi fossero Lucien Deussy e Theodore Frakk. La storia non ha dato traccia di loro, se non in un trafiletto su Le Petit Parisien del 3 maggio del 1878.
Da quel giorno, le corse sul chilometro si moltiplicarono. Nella prima Sei giorni della storia – si corse a New York nel 1880 – il chilometro da fermo c’era già ed era parecchio apprezzato, certo mai come la prova di Velocità ma tant’era.
Piaceva parecchio il chilometro da fermo in Italia. Nemmeno da noi come la Velocità, che era il vero grande amore dei velodromi nostrani, ma comunque era un gran bel vincere il chilometro da fermo. Sante Gaiardoni, ben prima di vincere l’oro olimpico ai Giochi di Roma 1960, disse che il suo sogno era “la Velocità, ma che il chilometro era poco poco sotto, ti cambia una carriera da pistard il chilometro, che è la prova di più assoluta potenza che esista”, ed essere il più potente di tutti, “è comunque una gran soddisfazione”. Due anni dopo fu sia il più abile pistard, vincendo la Velocità, sia il più potente. L’oro lo conquistò segnando il tempo di 1’07”27. All’epoca un tempone, sottolineato da un paio di minuti di applausi dai 17mila spettatori che affollavano il velodromo olimpico di Roma.
Una vita fa. L’Italia ha progressivamente dimenticato i velodromi, peggio è andata al chilometro da fermo. Gianni Sartori fu il nostro ultimo grande campione: era il 1969. Ferruccio Ferro l’ultima nostra medaglia mondiale: era il 1974. La tradizione azzurra che univa Gaiardoni, Pettenella, Sartori e Ferro s’era dispersa, scomparsa.
C’è da chiedersi come sia arrivato Matteo Bianchi al chilometro da fermo. C’è da stupirsi come sia riuscita ad arrivare al quinto posto a questi Mondiali di ciclismo su pista.
Il ciclismo su pista in Italia è in realtà un mistero. Ivan Quaranta e il suo staff hanno fatto in pochi mesi quello che non era stato fatto in decenni. Hanno selezionato i più bravi, hanno fatto in modo di farli esprimere al meglio in un paese dove velodromi quasi non ce ne sono più, almeno con le dimensioni di quelli dove si compete oggi, e l’unico al coperto è più volte chiuso che aperto. I primi risultati di rilievo, anche a livello giovanile, sono già arrivati. C’è da essere orgogliosi del quinto poso di Matteo Bianchi, è come e più di una vittoria, è il ritorno di una tradizione che si pensava persa per sempre.