
Il cielo ciclistico di Bart Lemmen
19/10/2023 0 Di Giovanni BattistuzziBart Lemmen nei prossimi due anni correrà per la Jumbo-Visma. L’amore porta a conseguenze incredibili, anche a lasciare gli aerei per le bici
Per Bart Lemmen la bicicletta era soltanto un mezzo di trasporto e un modo per poter stare con la sua ragazza. Ogni tanto si fanno dei sacrifici per condividere le passioni delle persone a cui si vuole bene. Era mica uno da biciclette lui, i suoi pensieri e desideri si erano sempre mossi molto più in alto, verso il cielo. Volare. Aveva sempre desiderato soprattutto questo. Staccarsi da terra, raggiungere le nuvole, perdersi in esse e guardare quanto piccolo poteva sembrare ciò che ci sembra grande dall’alto.
Gli obbiettivi che ci si dà nella vita a volte sono del tutto irrazionali. A volte razionalissimi. Se nasci in una famiglia dove tuo nonno ha volato, tuo padre vola, è facile cadere in tentazione e pensare che il tuo posto nel mondo sia in cielo, tra e sopra le nuvole, invece che in terra. Soprattutto se l’educazione che hai avuto è un’educazione militare perché impartita da militari.
“Quel che mi ricordo è che ho sempre voluto far pare dell’esercito”, ha detto Bart Lemmen a Velo. “Mio nonno era un ufficiale dell’aeronautica e anche il fratello di mio nonno. Mio padre volava. Credo di aver sempre voluto far parte di quel mondo. Senz’alto inconsciamente è stato così. Ricordo che quando ero al liceo e parlavo con i miei amici di cosa avremmo fatto da gradi, molti erano incerti, pure io ero incerto, eppure sapevo benissimo cosa volevo fare: volare. L’esercito era ciò che in fondo mi affascinava di più: aveva le sue fantastiche infrastrutture militari, gli F16 e tutto il resto che ci stava attorno”.
Bart Lemmen guardava il cielo, era quello il suo posto. Credeva davvero che sarebbe stato quello il suo posto. Aveva fatto tutto quello che serviva per fare in modo che potesse essere così.
A 19 anni, dopo aver terminato la scuola si è arruolato per la leva di un anno: addestramento militare, studio di diritto internazionale, simulazione di operazioni sul campo, nozioni di logistica. In poco tempo si ritrovò cinquanta ragazzi da dover gestire e comandare. Non è raro procedere spediti nella carriera militare, basta dimostrare capacità di gestione delle altre persone e attitudine al comando. Bart Lemmen ce le aveva.

L’amore però a volte è un deviatoio mal posizionato che cambia il percorso al normale incedere di un treno, che porta il convoglio su di un altro binario e fa scoprire itinerari nuovi, a volte talmente appaganti da sembrare migliori di quello prestabilito.
Quando all’amore si somma amore gli effetti possono essere deflagranti.
Bart Lemmen in sella a una bicicletta si è trovato talmente bene da non voler scendere. Ha capito che non gli servivano migliaia e migliaia di metri di distanza dal suolo per essere felice, gli bastavano qualche decina di centimetri. A patto di poter andare veloce.
Nel 2017 si iscrive ad una squadra ciclistica. Aveva 21 anni e se inizi a 21 anni a correre in bicicletta, soprattutto in quest’epoca, sei già fuori tempo massimo. A ventun anni Peter Sagan aveva già vinto venti corse nei professionisti, Tadej Pogacar aveva conquistato già il suo primo Tour de France, Remco Evenepoel era aveva già al collo la medaglia di bronzo ai Mondiali nella cronometro, Wout van Aert era già campione del mondo nel ciclocross.
Come se non bastasse nei successivi tre anni corse poco o nulla per una ragione o per l’altra: qualche infortunio, gli studi, l’addestramento militare, una pandemia mondiale.
Nel 2021 riuscì a correre un po’ di più, riuscì soprattutto a pedalare con una buona continuità. La sua ragazza gli suggerì di iscriversi al campionato nazionale a cronometro. Lui le rispose che era una cazzata, lei insistette, lui cedette: fu ottavo su quarantasette e a meno di due minuti da Tom Dumoulin. Nemmeno tre mesi dopo vinse la sua prima corsa, la Schwalbe TCM HLB van Daal Eurode Omloop, che forse non è un corsone che ci si sogna da piccoli, ma nemmeno è una corsetta di paese. E soprattutto ha convinto la VolkerWessels Cycling Team, squadra Continental, a offrirgli un contratto.
“La mia strada per diventare un ciclista professionista è stata davvero insolita. Uno è portato a credere che si possa diventare un professionista solo se fin da giovani si viene scelti per da team di sviluppo delle formazioni World Tour o quantomeno da un Pro Team. A me è andata diversamente. Sono riuscito a diventare professionista soltanto grazie ai risultati, ed è stato molto difficile ottenere quei risultati. Però una cosa l’ho capita. I risultati contano e contano un sacco, ma a volte conta anche la storia che ti porti dietro, come arrivi e in quanti arrivi a quei risultati”.
Bart Lemmen dopo un anno alla Human Powered Health, squadra Pro Tour, è stato messo sotto contratto dalla Jumbo-Visma per due anni in questo ciclomercato.
“Essere un ciclista professionista è il sogno di una vita che non sempre sapevo di avere”, ha detto a Velo.
È forse anche la vita che non avrebbe mai pensato di vivere. Una vita attaccata con due ruote al suolo, su quella terra che aveva sognato per un vita, ma un’altra, di vedere dall’alto, da lontanissimo.