
In bicicletta contro i regimi. Florindo Eufemi, ciclista che scelse la libertà
26/05/2023Un filo lega la bicicletta alle pagine più importanti della nostra storia nazionale ed è quello che la vede protagonista della lotta di Liberazione. Dalle bici delle staffette a quelle dei capi partigiani, le due ruote a pedali si sono guadagnate un posto di tutto rispetto nella lotta antifascista, al punto che se in molte parti sorgono monumenti dedicati al mulo in ricordo del suo impiego durante la Grande Guerra, ne andrebbero dedicati altrettanti alla bicicletta per celebrare il suo ruolo nella Resistenza.
Di storie di biciclette e impegno politico ce ne sono molte, e non solo nel nostro paese; tra le meno note c’è quella di Florindo Eufemi.
Amava andare in bicicletta Florindo: gli piaceva faticare sulle strade sterrate che si arrampicano sulle colline attorno a San Miniato in provincia di Pisa, dove abitava con la sua famiglia, e una volta arrivato in cima buttarsi giù a rotta di collo verso la pianura, sperando sempre che qualche gallina non sbucasse all’improvviso sulla strada. Sembra ancora di vederlo danzare sui pedali nel tortuoso dedalo di strade bianche accecate dal primo sole estivo: un puntino in mezzo alle colline che dipingono il paesaggio all’ombra della torre di Federico II, là dove secondo la leggenda morì Pier delle Vigne, consigliere del Barbarossa e raffinato cantore dell’amor cortese, celebrato da Dante nel XIII dell’Inferno.
Sono gli anni Trenta del secolo scorso e la famiglia Eufemi si trova in Italia dopo aver passato qualche anno in Francia. E proprio in terra transalpina – più precisamente a Grasse, in Provenza – nel 1912 era nato Florindo. Il padre Paolo fa il venditore di polli insieme alla moglie Nella: Florindo passa l’infanzia tra la Provenza e la Costa Azzurra, impara il francese – ancora non lo sa ma più tardi gli tornerà utile – poi le scarse fortune della famiglia riportano gli Eufemi al punto di partenza, in Toscana.
L’Italia degli anni Trenta vive già da un decennio sotto la cappa del regime fascista. Sembrano lontani i giorni del biennio rosso che nell’empolese e nelle zone limitrofe avevano fatto sperare in un altro esito per le classi più povere della popolazione. Sono già entrate in vigore le leggi che mettono al bando le opposizioni e vietano le principali libertà: sotto il rigido controllo dell’Ovra – la polizia politica del regime – tutti sono chiamati a inquadrarsi nelle organizzazioni fasciste, fin da bambini. Agli Eufemi non tocca sorte diversa.
Nel frattempo però Florindo scopre l’amore per la bicicletta: sarà la sensazione del vento sul viso oppure l’adrenalina che prova venendo giù dalla discesa di Moriolo, o forse il verde lucente del suo telaio nuovo, ma quando pedala si dimentica le fatiche quotidiane, la sveglia presto per aiutare il padre a tirare avanti col mestiere di venditore. Florindo ama così tanto pedalare che sogna di diventare un corridore: una volta sul tavolino di un caffè di San Miniato aveva visto un giornale che in prima pagina riportava un titolo a quattro colonne e la foto di un corridore che aveva vinto il Giro d’Italia – Alfredo Binda si chiamava. Fu in quel momento che capì di voler fare lo stesso mestiere: ed eccolo poco dopo vestire i colori della Mens Sana di Siena, poi dell’Uc Monsummanese e infine dell’Uc Montecatinese.
Florindo vince e si afferma come buon corridore, riuscendo a passare professionista pochi anni dopo, seppur da indipendente. Partecipa a corse importanti e coglie pure qualche piazzamento, tra cui il 30° posto nel campionato italiano vinto da Bartali nel 1935. L’anno successivo vince la sua prima corsa: al Giro di Corsica trionfa in cinque tappe e si aggiudica la classifica finale, poi in autunno ottiene un 28° posto al Giro di Lombardia vinto sempre da Ginettaccio e un 19° posto nella Genova-Nizza.

Sarà stato il clima di oppressione che come un cappio si stringe sempre più stretto attorno al collo dell’Italia o la sensazione di libertà imparata andando in bicicletta – o forse entrambe le cose – ma Florindo comincia a coltivare altri pensieri. Già nell’estate del 1936, ottenuto il visto per partecipare al Giro di Corsica, chiede che gli venga rinnovato per rimanere all’estero, ma la sua richiesta è respinta. Il secondo tentativo però Florindo decide di non farlo andare a vuoto: due mesi dopo ottiene il visto per partecipare alla Genova-Nizza e terminata la corsa si rende irreperibile. Dalla Costa Azzurra Florindo pedala attraverso la Francia – il francese imparato da bambino lo aiuta – poi inizia a scrivere lettere alla famiglia: dice di trovarsi a Parigi, in cerca di un lavoro che possa aiutare tutti a sbarcare meglio il lunario. Un anno dopo però – siamo nel ‘37 – le lettere cominciano a essere controllate dall’Ovra, che lo ha iscritto nel bollettino delle ricerche come “comunista” e “sovversivo pericoloso” residente in Spagna. Ai familiari Florindo continuerà a dire di trovarsi a Parigi, la realtà però è un’altra: si è arruolato nelle brigate internazionali che in Spagna affiancano il governo contro le truppe fasciste di Franco. Combatte nel battaglione Garibaldi comandato da Randolfo Pacciardi, che dopo la Liberazione sarà vicepresidente del consiglio.

Col passare del tempo le comunicazioni si fanno meno frequenti: l’ultima lettera alla madre è del luglio 1938, poi un lungo, interminabile silenzio: Florindo viene ucciso durante un bombardamento nel settembre dello stesso anno. Lo annota anche l’Ovra, che indica come luogo di morte la città di Albacete, l’antica Al-Basit musulmana. Anche se in arabo il nome significa “la pianura” il suo centro sorge a quasi 700 metri sul livello del mare: difficile allora non immaginarsi Florindo che aiuta i compagni di battaglia mettendo a disposizione anche la sua forza sui pedali, per mantenere i collegamenti tra i battaglioni e il centro della città. Quella salita di certo più lunga di quelle di casa sua è stata forse l’ultima della sua vita, ma la più importante: Florindo e molti suoi compagni non videro mai il traguardo, eppure proprio quelle sconfitte in Spagna misero le premesse per le vittorie che sarebbero arrivate un decennio più tardi in tutta Europa e nel mondo.
E allora: evviva (e grazie) Florindo, il ciclista che scelse la Libertà!