In memoria di Stelio Belletti e dei sogni Stelbel

In memoria di Stelio Belletti e dei sogni Stelbel

24/10/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

La prima bicicletta che ho amato senza riuscire mai a pedalare era una Stelbel. La notizia della morte di Stelio Belletti mi ha riportato a quegli anni, alla genesi di un amore fortissimo


Quando ero piccolo c’era un signore nella mia via che aveva una bicicletta che io non riuscivo a non guardare. Non sapevo perché, ne sapevo ben poco di biciclette, o meglio di meccanica telai e cose così, ma quella bicicletta mi piaceva un sacco e mi promisi un giorno, avrò avuto sette o otto anni, che anch’io un giorno o l’altro avrei avuto una Stelbel. Non sapevo che cosa volesse dire Stelbel, ma il nome mi piaceva, suonava bene. Pensavo fosse una cosa esotica, tipo americana o svedese, tedesca no perché avevo un amico che in Germania c’era nato e ci andava ogni estate che mi diceva che lassù le Stelbel non c’erano. Ho scoperto anni dopo che Stelbel stava per Stelio Belletti. E che Stelio Belletti era di Mantova e non veniva da nessun altrove esotico.

Alle cose spesso ci arrivo in ritardo. Va così da sempre. E così è andata anche sta volta. Sono venuto a conoscenza solo oggi che Stelio Belletti è morto qualche giorno fa.

Quando l’ho saputo ci sono rimasto male, come ci si sta male per la notizia della morte di qualcuno a cui si è voluto un po’ di bene. Non un familiare o un amico di vecchia data, nemmeno di nuova purché ci si abbia vissuto per bene momenti. Ma uno che si stimava sì, uno che ti è stato vicino senza esserlo stato davvero mai.

Quella bicicletta ancora me la ricordo. Era tutta cromata con le scritte in blu, ma piccole, che quasi non si vedevano. Luccicava quando passava. Era mica come quelle altre dai mille colori sgargianti, e ce ne erano un sacco in giro tutte colorate che sembrava che fossero caduti tre o quattro vasi di vernice sopra al telaio. C’entrava nulla con le altre quella bicicletta. E anche quando passava aveva un altro rumore rispetto alle altre. O all’epoca mi sembrava così.

Ero follemente innamorato di quella bicicletta. Quando riuscì a capire il modello, una Stelbel Dynamic Inox, lo cercai, ma o era troppo caro per le mie tasche oppure chi ce lo aveva non lo voleva vendere. Lo capivo e lo capisco, non sempre i soldi sono la cosa più importante. Soprattutto quando si tratta di bici.



Fu un giorno di qualche anno fa che ritrovai per caso il signore che ammiravo girare con quella meravigliosa bicicletta. Parlammo del più e del meno, del fatto che non ero più alto un metro, che sì mi era cresciuta la barba e che no non avevo perso ancora i capelli. Poi gli chiesi: “Ma la bicicletta cromata che aveva trent’anni fa?”.

“La Stelbel?”

“Esatto”

“Boh, mi sa che o l’ho venduta o l’ho buttata via. Era vecchia. Ora ho una Specialized”, disse con fare fiero e lo sguardo di uno che ne sapeva a pacchi di vita bici e chissà cos’altro.

Non c’ho nulla contro le bici Specialized. In quel momento però sentii un forte impulso a mettergli le mani addosso.

Perché certo la vita va avanti, la tecnologia migliora di continuo quello che un tempo ritenevamo il massimo, ma ci sono biciclette alle quali certe cose non vanno fatte. E quel suo Boh, mi sa che o l’ho venduta o l’ho buttata via. Era vecchia, mi fece esplodere una rabbia che ancora adesso a pensarci mi si informicolano le mani.

Tagliai corto quella volta. Me ne andai incazzato.

Incazzato soprattutto perché quella bicicletta era il mio primo grande sogno biciclettaro. Quella, non un altra magari uguale. Proprio quella. E se io sono diventato quello che sono diventato, se ancora oggi mi ostino a uscire a pedalare ogni volta che riesco, a volte anche di più di ogni volta che posso, è anche per merito di quella bicicletta. E di Stelio Belletti da Mantova.

Un giorno, prima o poi, riuscirò a salire su una Stelbel, anche se non sarà quella. Però mi domanderò sempre dove quella lì, quella Stelbel Dynamic Inox, sarà finita.