
La Croce nel cuore del Giro d’Italia
19/05/2023Certo sarebbe stato bello vederli salire in cima al Gran San Bernardo. Trentaquattro chilometri a naso all’insù, verso i 2.469 metri della cima del passo, oltre sei chilometri sopra i duemila metri, tra il bianco che fosse stata una bella giornata faceva pendant con il celeste del cielo, quel celeste che sono a quelle quote si può vedere. La chiamano Cima Coppi, forse anche per questo, in onore alla belle giornate estive. L’estate è lontana a venire, la primavera sembra autunno, al Gran San Bernardo prima hanno mozzato la vetta, poi l’hanno saltato proprio. Il Giro d’Italia ha più che dimezzato la tredicesima tappa. S’è bevuto oltre cento chilometri in bus, su per la valle d’Aosta, su e giù per il Gran San Bernardo. Ripartenza da Le Chable. Erano partiti da Borgofranco d’Ivrea giusto per far presenza, perché se erano lì è perché qualcuno ha fatto in modo (ha aperto il portafoglio) per farli arrivare lì.
Il tempo è quello che è, brutto se non pessimo in gran parte dell’Italia. Pioveva alla partenza, pioveva lungo il percorso. Come da giorni. Ce ne sono stati pochissimi asciutti. Non pioveva sul Gran San Bernardo, hanno detto. C’erano pure otto gradi all’uscita del tunnel in Svizzera. Il meteo non escludeva però che potesse cambiare la situazione.
C’è da capirli i corridori. Sono stufi di prendere acqua, sono stanchi dei pericoli. Tengono famiglia, vorrebbero rivederla, magari senza passare per una stanza d’ospedale. Non c’hanno voglia, né tantomeno bisogno, di diventare protagonisti dell’“epica” ciclistica. L’epica è meglio lasciarla ai libri di Omero e alle versioni seguenti. È mica colpa del Giro d’Italia se c’è tutto questo. Ma c’è. I chilometri percorsi sono stati tanti, il freddo in bicicletta è irritante.
I corridori hanno votato di non percorrere la Croix de Coeur. La discesa è troppo pericolosa, han detto. Soprattutto da bagnata. I primi quattro chilometri lo erano, gli altri no, ma tant’è. Hanno chiesto l’applicazione del protocollo per condizioni meteorologiche estreme. Non c’erano condizioni estreme, ma tant’è. A volte non sempre si è ben consigliati.
Qualche errore c’è stato, senz’altro: “Si era già cominciato ieri sera a parlare del maltempo, di possibili cambiamenti, di una tappa diversa da quello che era stato previsto. È vero che c’è il maltempo, è vero che siamo stanchi e abbiamo preso tanto freddo, ma non credo ci fossero le condizioni per accorciare la tappa”, ha detto Gianni Moscon. “Mi dispiace per gli organizzatori che avevano previsto una bella tappa. Mi dispiace per il pubblico. Per me si poteva correre, poi se qualcuno voleva fermarsi poteva farlo. Non ce l’ha ordinato il dottore di fare i ciclisti professionisti”.
Qualche errore c’è stato, ma c’è da capirli i corridori. Ventitré chilometri di discesa, diversi con un’alta possibilità di pioggia, molti sotto i dieci gradi forse non saranno condizioni estreme, certamente non erano piacevoli. Certo sono dei professionisti, l’andare in bici, lottare per la vittoria, è il loro mestiere. E i mestieri bisognerebbe farli. Ma sono anche uomini, con le loro fragilità, con le loro paure, non ci si può far niente, non c’è nulla di male. Non volevano la discesa della Croix de Coeur, anche se in molti non sapevano nemmeno com’era la Croix de Coeur. Si sono fidati di quanto è stato detto loro. Chissà se ciò che gli è stato detto veniva da qualcuno che la Croix de Coeur la conosceva.
Il Giro però non poteva fare a meno della Croix de Coeur. O almeno questo è quello che ne è uscito fuori.
La Croix de Couer è stata fatta. All’insù e all’ingiù. Ciò che c’era prima no. Quello che è certo è che tutta la vicenda la si poteva gestire meglio per evitare al Giro di venire mozzato in una delle sue giornate migliori, per evitare ai corridori di fare la figura dei fifoni. Non lo sono.