
La Parigi-Roubaix e il tempo degli arrivederci
07/04/2023È al venerdì della settimana santa che all’attesa, spesso fremente impaziente passionale, si avvicina, in parte si sovrappone, un velo di tristezza. L’eccitazione per ciò che è ormai prossimo non la si riesce a vivere appieno, è come se fosse anestetizzata da una sensazione di una fine ineluttabile. Certo, mica per tutti è uguale, c’è pure chi tutto questo non lo prova e non lo ha mai provato. Questione di priorità, questione di composizione chimica del piacere. È l’animo minerale, quello che ha bisogno di pietre per essere totalmente a proprio agio, il più sensibile a tutto questo. Quello che ha un appuntamento più importante degli altri: la Parigi-Roubaix. La Roubaix è vicina, a un passo, sempre domenicale. La Roubaix è il giorno dei giorni, che spesso fa al pari con il Giro delle Fiandre, ma forse un millimetro sopra. La Roubaix è il culmine finale della settimana santa. E in quanto culmine, ultimo atto. Porta con sé l’eccitazione di un mondo che non può esistere altrove, la tristezza dell’arrivederci. Al velodromo sarà tempo dei saluti, dieci mesi e mezzo di altro, che sarà senz’altro stupendo, ma non lo stesso, diverso, altro appunto.
Non dura mai abbastanza la stagione delle pietre nel ciclismo. E poi è quasi crudele questo modo di lasciarsi tutto il meglio alla fine, tagliare totalmente proprio nel momento di massimo godimento. È un po’ come ricevere una sberla dopo che il commissario, o chi per lui, scopre l’assassino. C’è sempre qualcosa dopo, minuti nei quali la storia volge ai saluti. Un commiato gentile, meno violento. Il ciclismo se ne è sempre fregato di certe convenzioni.
Tocca a noi appassionati farcene una ragione. Dirci che amen, che ci sono tante gare appassionanti, che iniziano le classiche delle Ardenne, che c’è la Freccia del Brabante che due pietre ce le ha ed è la transizione perfetta verso la Vallonia. E che poi iniziano i giri, i grandi giri.
Vero, verissimo. Bello, bellissimo. Tutto fantastico.
Però…
Però non funziona così. Non almeno per chi ha l’animo minerale, che condensa in un mese e mezzo tutto il meglio al quale vogliamo per forza assistere.
Non che ci sia per forza un meglio o un peggio, qualcosa di più imperdibile dell’altro.
Però forse anche sì.
Perché tutte le altre corse sono belle, bellissime, appassionanti. Quelle sulle pietre però hanno le pietre. E non vuol dire nulla, è una tautologia idiota, eppure quelle pietre sono una calamita che ti portano a loro. E puoi essere ovunque, in Vallonia o in Occitania, in Giappone o in Antartide, ma quell’attrazione magnetica quando le ruote dei corridori incontrano le pietre la sentirai e ti porterà a loro. Ma serve l’animo minerale. Quella forza che ti fa dire che esiste un qui e un ora più qui e più ora degli altri. E va sempre da fine febbraio a inizio aprile. E si conclude sempre con la settimana santa, con la Parigi- Roubaix. E il venerdì prima della Roubaix ti parte quella strana mistura tra eccitazione e senso di vuoto, di smarrimento, che non sai come affrontare.
E magari ti ritrovi in penombra a rivedere le Roubaix di Franco Ballerini.
Può accadere. Tranquilli. Va bene così.