La sartoria ciclistica di Lukas Pöstlberger

La sartoria ciclistica di Lukas Pöstlberger

31/05/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Non è uno che vince spesso, Lukas Pöstlberger. E non vince spesso perché ha altro da fare in gruppo: mettersi al servizio degli altri, agevolare le vittorie altrui.

Ogni sua corsa, o quasi, è una sfida contro il vento e contro il cronometro. Decine e decine di chilometri avanti al gruppo a cercare di prosciugare il divario con gli avanguardisti, pedalando di costanza. Oppure qualche migliaia di metri a tutta per provare ad aumentare la velocità quel che serve e quel che basta per lanciare la volata di chi deve favorire lo sprint del velocista di tutto.

È un sarto Lukas Pöstlberger, ricuce distanze, avvicina ciò che vorrebbe sfuggire, assembla ciò che serve per permettere la riuscita di un abito di ottima fattura.

Disse Yves Saint Laurent però che un sarto quasi mai si trasforma in un gran stilista. Il motivo, almeno per YSL, è semplice: uno stilista crea un mondo immaginario, ha bisogno di avere la mente libera, oltrepassare la realtà per crearne una nuova. Toccherà poi ai sarti rendere la creazione vestito. Il ciclismo non è alta moda, i sarti intervengono prima degli stilisti, per questo oltrepassano dopo la linea d’arrivo.

Ogni tanto però, a furia di assemblare e cucire, anche i sarti imparano l’arte della creazione di una nuova realtà. Sarà il caso, sarà l’abitudine, sarà la padronanza con certi trucchetti del mestiere, ma accade. Per esempio oggi al Critérium du Dauphiné.

Lukas Pöstlberger verso Saugues si è trovato a fuggire e non a inseguire. L’ha fatto con Anthony Delaplace (Arkéa-Samsic), Matt Holmes (Lotto Soudal), Shane Archbold (Deceuninck-QuickStep) e Robert Power (Qhubeka Assos). L’ha fatto con un vantaggio che non si è mai dilatato, che ha raggiunto al massimo cinque minuti e spicci, ma che si è ristretto subito gravitando tra i due e i quattro per la maggior parte della tappa. Il gruppo controllava, dava l’idea di giocare al gatto col topo. Ma non tutti i gatti sono scaltri e non tutti i topi si lasciano prendere. Soprattutto quando si conosce a perfezione le dinamiche dell’inseguimento, quanto, a volte, è dura la pratica del ricucire.

Lukas Pöstlberger è un corridore che sa fare molto bene di conto, sa calcolare gli spazi e i tempi che servono per coprirli. Conosce soprattutto i segreti della legge della continuità. Per fuggire serve la violenza, per continuare serve la cadenza, regolare, costante, mai accelerare e mai rallentare, andar via sempre allo stesso modo fregandosene della fatica che appesantisce i muscoli.

Raccontava Sam Bennett, che per anni ha avuto “la fortuna” di correre con Lukas Pöstlberger che “allenarsi con lui è incredibile, è come fare un’uscita dietro motore. Gli chiedi di andare a quaranta/cinquanta all’ora e lui va a quaranta/cinquanta all’ora per un’eternità di tempo”.

A velocità costante l’austriaco della Bora-hansgrohe ci è andato per anni per preparare il terreno ai compagni. Ogni tanto, quasi mai, c’è andato per il gusto di andarci e sperare nel colpaccio. A Olbia, Giro d’Italia del 2017, l’aveva fatto perché si era ritrovato davanti da solo a causa delle curve che avevano sparpagliato il gruppo. Aveva continuato a pedalare al suo solito modo, nessuno era riuscito a raggiungerlo.

Quattro anni fa il suo incedere durò poco più di un chilometro. Seicento metri a far da traino al gruppo, seicento metri a far da preda. Oggi nella seconda tappa del Critérium du Dauphiné, tutto questo è durato decisamente di più. Centoventisette chilometri d’avanguardia con quattro uomini attorno, diciassette con il Shane Archbold a ruota, altrettanti da solo.

Oggi come quattro anni fa la scena finale è stata la stessa. Braccia al cielo, schiena dritta, faccia incredula, una gioia pazzesca.