
L’altro Pidcock, Joe. La strada dei fratelli di…
27/07/2021Fu nel luglio del 1970 che per Eric De Vlaeminck le cose cambiarono. E definitivamente. Per la prima volta in vita sua Eric divenne il fratello di Roger. Non per tutti, ma per tanti. Roger De Vlaeminck il 17 aprile aveva vinto la Liegi-Bastogne-Liegi davanti a Frans Verbeeck, Eddy Merckx. Ma nulla era davvero cambiato. Poi il 2 luglio a Valenciennes Roger vinse la sesta tappa del Tour de France e nulla fu più come prima.
Eric si trasformò nell’altro De Vlaeminck. E questo nonostante aver conquistato quattro campionati del mondo di ciclocross e due volte il titolo belga della disciplina. “Il ciclocross in Belgio era allora, ed è ancora, seguitissimo, quasi una fede. Ma era ed è una religione professata in chiese di campagna. Roger invece aveva celebrato messa nella più grande cattedrale al mondo”, disse nel 2010 all’Equipe dopo il secondo posto di Andy Schleck alla Grande Boucle di quell’anno. “Non so se per Fränk sia diverso, ma a me non mi è mai pesato essere diventato per i più il fratello di Roger. Lo sono sempre stato. Ho due anni in più, ma gli anni nel ciclismo vogliono dire poco o nulla. Conta altro”.
Roger aveva preso la stessa strada di Eric, quella della bicicletta e lungo quella strada è riuscito a superarlo. Eppure per quanto vicine e a tratti coincidenti le loro strade non erano una soltanto. “Nel ciclocross, solo nel ciclocross, lui rimarrà sempre e comunque il fratello di Eric. Non credo che ci sia storia almeno in questo”.
Fränk Schleck ed Eric De Vlaeminck erano i fratelli maggiori d Andy e Roger. Per loro l’essere il fratello di… fu una novità. Così come lo fu, ma ben prima del professionismo a David van der Poel, già scalzato dalle gerarchie familiari prima di iniziare a correre per davvero dal fratellino Mathieu. Joe Pidcock a essere il fratello di Thomas invece c’è abituato da sempre. Tre anni in meno, stessa scelta di vita: la bicicletta. Nemmeno per lui però essere il fratello di… è cosa semplice. Non che Tom sia ancora diventato un campione, lo diventerà quando dimostrerà se non tutto almeno gran parte del suo talento. Quello che sinora ha messo sui pedali è però una buona premessa per il futuro. Lo ha fatto su strada, nel ciclocross. E in mountain bike, campione olimpico a Tokyo 2020.

Joe Pidcock sta vedendo i successi del fratello, sta provando a costruire i suoi, ben consapevole che “siamo fatti degli stessi geni. E questo è un lato positivo. Ma c’è anche un lato negativo. È uno dei migliori ciclisti al mondo e a volte mi aspetto di essere al suo livello. Cosa che non sono”, ha detto a CyclingNews.
Ha ammesso che “mi metto sotto pressione da solo, poi ci sono anche tutte le persone che sento e che si aspettano qualcosa da me”. Per questo ha deciso di espatriare, di cercare la sua strada lontano da casa, a distanza di sicurezza da dove aveva iniziato il fratello. Ha lasciato il Regno Unito, è sbarcato in Francia, alla Groupama-Fdj, squadra continental, quella buona per crescere. “Mi sono unito a questa squadra soprattutto per allontanarmi dalla pressione. Voglio dire, se mi fossi unito a una squadra come il Trinity, dove ha corso Tom, sarei stato soltanto il fratello di Tom. Andando alla FDJ, che non ha nulla a che fare con Tom, allora potevo essere solo me stesso. Non mi sento affatto il fratello di Tom in questa squadra”.
Joe continua a essere il fratello di Tom. Gioisce per i successi del fratello, prova a iniziare a fregarsene delle aspettative altrui. Quando la pressione cresce troppo prende i pennelli e prova a rilassarsi. Disegna, dipinge, crea. Su carta, su tela, su tomaia. “Negli ultimi anni ho dipinto alcune delle mie scarpe da corsa. Non credo però che le indosserò in gara, sono troppo belle. Ho iniziato a dipingerne anche per altre persone. È qualcosa che mi piace molto. La moglie di George Bennett fa la stessa cosa ma lei è davvero molto brava. Io non sono a suo livello, ma è solo qualcosa che mi è piaciuto fare”.
Joe sa aspettare, alla bici non rinuncerebbe mai, anche a costo di continuare a essere il fratello di per tutta la vita. “Pedalare, mi basta questo, è tutto il meglio che posso avere, il meglio che posso vivere”, disse pochi giorni dopo la sua prima gara quest’anno, la Paris-Troyes. “Devo migliorare, poi imparare a vincere. Crescere passo dopo passo”, ha detto a DirectVelo. Serve correre, “serve soprattutto rispettare se stessi e le gare che si fanno. Le gare hanno una vita loro, che va oltre alle esistenze personali”. Lo ha fatto notare anche ieri dopo la caduta di Mathieu van der Poel.
Gli è sempre fregato poco di essere corretto e diplomatico. “Il campione è mio fratello, è lui che deve usare il bilancino nelle dichiarazioni. Essere uno dei tanti ha i suoi vantaggi. A volte puoi dire quello che credi e non solo quello che la gente vuole sentire da te”.
Joe aspetta di correre con il fratello, contro il fratello, per battere il fratello. Si può sempre mica essere fratelli di.