Le prime tre settimane di Lenny Martinez

Le prime tre settimane di Lenny Martinez

22/08/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

La Vuelta 2023 sarà il primo grande giro di tre settimane che correrà il francese Lenny Martinez. E probabilmente ce ne ricorderemo in futuro


Ora che il più grande e dolce pensiero stupendo si è trasformato in un ricordo malinconico per quello che è stato e che non è stato (Thibaut Pinot saluterà tutti al Giro di Lombardia); ora che la seconda grande nouvelle vague si sta rivelando meno vincente di quello che poteva sembrare all’inizio (David Gaudu è forte, ma non a livello di Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard e Remco Evenepoel e Pierre Latour si è evoluto in uomo da avventure giornaliere); ora che la maglia gialla di Julian Alaphilippe, le sue difese montane, sono apparse per quello che erano, una folgorazione di un’estate e basta, quella del 2019; ora che tutto riporta ancora a Bernard Hinault e alla sua classe straordinaria, ma sempre più lontana nel tempo, la Francia guarda in Spagna per provare a sognare ancora. Sta aspettando la nuvola buona che torni a bagnare il suolo dopo trentotto anni di assenza della bandiera francese sul gradino più alto podio del Tour de France e ventotto da quelli degli altri giri di tre settimane (l’ultimo vincitore fu Laurent Jalabert alla Vuelta del 1995). Sabato 26 agosto da Barcellona inizierà la Vuelta 2023, inizieranno le prime tre settimane continue di Lenny Martinez.

In Spagna la Groupama-FDJ ci va senza pensare alla classifica generale (forse ci proverà Rudy Molard, non è detto), ma con l’ambizione di cercare di combinare qualcosa di buono giorno dopo giorno. Ci sarà Michael Storer a guidare la compagine transalpina, non certo uomo da alta classifica, corridore bravo però a sfruttare la libertà. E in corsa ce ne potrebbe essere un po’. Al suo fianco, oltre a Rudy Molard, sei giovani, tutti sotto i 25 anni. Tra loro Romain Grégoire, ventenne che con buona probabilità troveremo spesso e volentieri nelle prime posizioni delle prossime classiche (ha già iniziato il 4 marzo con un ottavo posto alla sua prima Strade Bianche).

Lenny Martinez correrà libero, soprattutto di sbagliare. Marc Madiot ad aprile ha detto: “Ha potenziale, in salita va forte, ma non sa nemmeno lui quanto. Io non gli dico niente, gli do solo qualche dritta su come sarebbe preferibile correre. Deve sbattere un po’ il muso, farsi male e da lì ripartire”.

Al Critérium du Dauphiné, nell’ultima tappa che portava a La Bastille, sopra Grenoble, s’è preso la prima sbattuta di muso. Ha risposto agli attacchi altrui quando non doveva e soprattutto come non doveva, si è staccato, ha perso diversi minuti, si è giocato la possibilità di entrare tra i primi dieci della classifica. Quel giorno Marc Madiot sembrava contento. Non è cattiveria quella del direttore sportivo della Groupama-FDJ, è consapevolezza di quello che serve al ventenne.

Aveva ragione Madiot. Due giorni dopo quella mezza crisi Lenny Martinez vinse la quinta edizione della CIC – Mont Ventoux, corsa in linea che termina in cima al Mont Ventoux. E poco importa se fosse una versione light della corsa, se fosse lunga solo 98 km invece di 154 e ci fossero 2.640 metri di dislivello al posto di oltre 4.500 a causa del vento. Lenny Martinez si è comunque tenuto dietro Michael Wood, Simon Carr, Carlos Rodriguez e parecchi altri ottimi corridori (c’era anche Domenico Pozzovivo oltre a Einer Augusto Rubio, che al Giro d’Italia fu grande protagonista). Ha commentato: “Sono uno scalatore e la mia prima vittoria da professionista è arrivata in cima al Mont Ventoux… Solo così è una storia meravigliosa”.

A fine maggio, nella terza edizione del Mercan’Tour Classic Alpes-Maritimes, altra corsa in linea d’alta montagna (165 km e 4.700 metri di dislivello) erano riusciti a staccarlo solo Richard Carapaz e Felix Gall.

Sta capendo piano piano come si fa il corridore. “Al Tour du Doubs ho anche attaccato su uno strappo – ha detto – Mi ha seguito solo Guillaume Martin e dentro di me mi sono detto ‘ah, però’ Non credevo di poter stare con i migliori. Tutto ciò mi ha sorpreso”.

È corridore da salita Lenny Martinez. Per fisico. Piccolo e leggero: 52 chili in un metro e 68 centimetri. Per propensione: “Salire verso la cima mi dà piacere, ciò che si prova a staccare gli avversari mentre la strada sale è qualcosa di indescrivibile”. Per tradizione familiare. Il nonno Mariano, nato a Burgos prima di diventare francese fu terzo ai Mondiali del 1974 dietro Eddy Merckx e Raymond Poulidor, vinse una tappa al Tour de France e la classifica riservata agli scalatori. Il prozio Martin, morto nel 2012, vinse una tappa alla Vuelta. Lo zio Yannick, lo zio fu una promessa del ciclocross e corse sette anni tra i professionisti. Il padre Miguel è stato uno dei più forti biker tra gli anni Novanta e i Duemila: vinse due Coppe del mondo e nel 2000 fu campione mondiale e olimpico del cross country. Ci provò anche nel ciclismo su strada, non andò altrettanto bene, ma in salita, ricorda chi ci ha corso assieme e contro, andava forte.

Mariano Martinez e Miguel Martinez erano due anarchici del pedale. Gente da fuga, da mattata, uomini leggeri capaci di ogni cosa, soprattutto il nonno, anche di starsene fuori in solitudine per oltre 200 chilometri tra Romans-sur-Isère e Grenoble al Critérium du Dauphiné, guadagnare oltre dieci minuti a Bernard Thévenet e Lucien van Impe Joop Zoetemelk, mandare in crisi Eddy Merckx e Bernard Hinault prima di andare in crisi lui a dieci chilometri dall’arrivo e superare il traguardo oltre un quarto d’ora dopo Thévenet.

“Ogni tanto ci discuto con il nonno. Non è che litighiamo, ma quasi. Ai suoi tempi diceva che vinceva chi beveva meno e mi raccontava che non si allenavano mai per più di quattro ore me sempre, senza un giorno di stacco. Se nonno sapesse che a volte bevo due borracce all’ora e che la scorsa stagione mi sono preso sei settimane di ferie, gli verrebbe un colpo!”, ha detto all’Equipe. Non è cresciuto nel mito del passato Lenny Martinez. È cresciuto con l’amore per la bicicletta, questo sì, con una passione totale per il pedalare. “C’è chi ha bisogno di staccare la testa dalla bici per andare forte e sentirsi bene: io no, io pedalo tutto l’anno, spesso per allenarmi, a volte per pure piacere”.

C’è una differenza enorme. La spiegò al termine della scorsa stagione, al termine della Ronde de l’Isard (vinse due tappe), ultima corsa nella squadra continental della Groupama (in pratica la squadra B, quella che serve a lanciare i giovani). Era il 2 ottobre, gli chiesero che piani aveva in mente. Rispose: “Ora stacco, mi prendo un po’ di giorni per farmi un giro in bicicletta come piace a me, senza correre, godendomi il momento e i paesaggi. Poi vedremo”.

Libertà del pedalare. Ma solo ogni tanto, quando non ci sono gare da fare o da preparare. Ha spiegato all’Equipe: “Voglio vivere la mia vita ciclistica al massimo. Oltre ad allenarmi, mi informo e studio. Ho letto molti articoli e studi sull’ottimizzazione delle prestazioni, sull’alimentazione e tutto questo mi affascina. Mi piace tenere sotto controllo i watt, le zone di intensità, non so allenarmi a sensazione”. Poco Martinez in questo.

L’anno scorso ha vinto il Giro della Valle d’Aosta, è arrivato terzo al Giro d’Italia U23 e ottavo al Tour de l’Avenir. Quest’anno si è messo a servizio di Thibaut Pinot al Giro di Romandia e David Gaudu al Critérium du Dauphiné. “Ho corso con loro, accanto a loro, senza perderli mai di vista. Penso di aver imparato più in una dozzina di giorni di gregariato che in anni di corse”. Thibaut Pinot scherzando ha detto che gli sembrava di avere gli occhi di uno sbirro addosso tutto il giorno, in corsa e fuori. Poi ha ammesso che era fortunato a smettere.

Perché Lenny Martinez non ha fretta di vincere, di lottare per le prime posizioni della generale, ma ha una voglia enorme di capire cosa può fare meglio per non avere rimpianti. Come a cronometro. “Ho chiesto a Kung un po’ di cose e ho registrato tutto. Ogni tanto riascolto per capire, con l’esperienza, cosa voleva dirmi”.


Lenny Martinez al Critérium du Dauphiné

Al Giro di Polonia non è andato benissimo, ma tutto sommato, considerando che era pur sempre la quarta cronometro che disputava tra i professionisti, non è andata nemmeno troppo male.

Ora toccherà la Vuelta, sarà la prima vera prova per capire quale sarà il suo futuro, se davvero potrà ambire un giorno a bloccare gli anni che passano uno dopo l’altro tra Bernard Hinault e il presente.