
L’incidente alla Bora e l’idiozia dell’Italia che se ne frega dei ciclisti
17/01/2021C’era un tempo nel quale l’Italia in inverno era il centro del mondo del ciclismo mondiale. Tra la Toscana e il basso Lazio, con qualche evasione sino in Sicilia, decine e decine di squadre professionistiche si sparpagliavano per la penisola alla ricerca di chilometri da pedalare. Francesi, belgi, olandesi sceglievano il nostro paese un po’ per il clima, un po’ per la cucina, un po’ perché “c’era niente di meglio che l’Italia per girare in bicicletta”, disse più di una volta l’ex campione del mondo (nonché vincitore di un Giro delle Fiandre) Claude Criquielion. Erano gli anni Ottanta, una vita fa. Anzi più di un vita fa. Perché è da anni che l’Italia non è più attrazione invernale per le squadre ciclistiche. Le formazioni del grande ciclismo si sono progressivamente allontanate dal nostro paese. E in tutto questo il clima non c’entra. La sparizione dei ritiri invernali in Italia non è un fattore metereologico, è un problema di strade.
Quelle che hanno abbattuto una buona parte della Bora-hansgrohe. Il 16 gennaio, a Ronchi di Castelnuovo del Garda (provincia di Verona), un automobilista alla guida di un suv ha investito una un gruppo di ciclisti. Era uscito da una strada laterale senza dare la precedenza. Si è giustificata allo stesso modo di tutte le persone che investono i ciclisti: “Non li ho visti”. A terra sono finito Marcus Burghardt, Anton Palzer, Maximilian Schachmann e Michael Schwarzmann. Fortunatamente senza particolari problemi. Wilco Kelderman, Rüdiger Selig e Andreas Schillinger invece hanno avuto conseguenze peggiori. Kelderman ha avuto una commozione cerebrale e una frattura di una vertebra, Rüdiger Selig ha avuto un trauma cranico, Andreas Schillinger ha subito delle fratture delle vertebre cervicali e toraciche. Non è detto che possa ritornare in bicicletta per continuare la sua carriera professionistica.
Il “non li ho visti” non è una scusa, al massimo è un’aggravante. Perché è “non li ho visti” la solita scusa di ogni automobilista che investe i ciclisti. La misteriosa sparizione dei ciclisti che impattano contro le automobili è un fenomeno che dovrebbe essere studiato dalla Nasa o dagli studiosi dei fenomeni paranormali. Perché gli automobilisti non vedono mai i ciclisti? Perché vale sempre la giustificazione del “non li avevo visti?”.
Nell’ultimo decennio la quasi totalità delle squadre ciclistiche si sono spostate in Spagna, in una nazione che sino a vent’anni anni fa era considerata molto più pericolosa dell’Italia per i ciclisti. Il numero di morti in strada era maggiore, la percentuale per sinistri per chilometri era 1.7 volte superiore rispetto all’Italia. Vent’anni sono però un secolo. Lo è se si prendono delle contromisure, se si inizia a considerare le biciclette una componente del traffico veicolare. Negli ultimi vent’anni in Spagna le biciclette sono aumentate del 49 per cento, i chilometri percorsi in bicicletta del 92 per cento. E questi dati sono riferiti soltanto alle zone urbane della penisola iberica. Negli ultimi vent’anni nelle strade le morti di ciclisti si sono ridotte del 9 per cento, del 61 per cento negli ultimi cinque anni. Un caso? Assolutamente no. Sono aumentati i percorsi ciclabili di circa il 50 per cento, sono aumentate le zone interdette alle automobili nelle città (dove si riscontravano il maggior numero di morti pro capite), è soprattutto stata ridotta la velocità media del traffico veicolare nelle strade extra urbana di quasi dodici chilometri all’ora.
Come si è riusciti a fare tutto ciò? Non aumentando le sanzioni. Almeno a livello economico. Chiusure di centri cittadini alle automobili, aumento dei chilometri di corsie ciclabili e abbassamento dei limiti di velocità nelle strade urbane, sono riusciti a rendere le strade spagnole più sicure.
Vero è che nel 2016 a Calpe sei corridori della Giant furono falciati da una macchina creando non pochi problemi a John Degenkolb e compagni, ma è rimasto questo un caso emblematico all’interno di un panorama che stava diventando sempre meno pericoloso per i ciclisti.
Spagna e Italia, secondo un sondaggio fatto tre anni da EuroVelo erano le due mete prescelte dai cicloturisti europei per un viaggio a pedali in Europa. La Spagna ha aumentato tra il 2017 e il 2019 anni del 55 per cento il numero di cicloturisti, l’Italia si è fermata a circa il 20 per cento. Secondo i dati della Università di Breda (Olanda) il Covid potrebbe aumentare le persone che fanno turismo in bicicletta del 75 per cento nei prossimi tre anni, facendoli arrivare a quasi il 7 per cento dei turisti europei, percentuale che potrebbe salire al a oltre il 15 nel 2030. Un settore che mediamente, secondo i dati della Comunità europea, spende oltre il 75 per cento in più dei turisti classici sul territorio.
Siamo davvero pronti a perdere tutto questo per la nostra incapacità di accettare le biciclette? Siamo davvero pronti a continuare a fregarcene dei ciclisti?