Marco Bandiera si ritira. Ed è un peccato per il ciclismo

Marco Bandiera si ritira. Ed è un peccato per il ciclismo

16/12/2016 0 Di Giovanni Battistuzzi

Il vento in faccia è prerogativa dei romantici. Come la solitudine. Specie se fine a se stessa. La fuga è gesto spontaneo di passione. Specie quando matta, disperata, impossibile. La fuga è una dimensione dello spirito. Specie se ricorsiva, sospinta ogni volta che se ne presenta l’occasione. E’ un gesto d’amore. Per la bicicletta.

Battuti e consapevoli d’esserlo, però chi se ne importa, muso al vento e pedalare. Perché ogni tanto il varco si apre e lo striscione d’arrivo si palesa, si spalanca e non si può mai dire che non sia davvero la volta buona. E quando arriva è tripudio, magia. Che quasi è un peccato, perché il successo diventa impresa, la solitudine gratificata. Si perde il romanticismo, diventa epopea.

Per questo ai vincenti si porge l’onore, agli staccati l’amore. Perché sono romantici. Perché il loro è sforzo indirizzato all’utopia, al sentimento. E’ una forma di rispetto per chi sta ai bordi della strada, che da lì guarda, incita, applaude. E’ la forma del ciclismo, nel senso di essenza.

E il ciclismo vive di cose del genere, di passione disinteressata, di fatiche a vuoto, perché è in fondo tutto ciò che ti fa salire su una sella tutte le volte che è possibile, che ti fa muovere le pedivelle al massimo delle tue possibilità.

E il ciclismo perde un pezzetto di sè, per poi magari recuperarlo di nuovo, ogni volta che un romantico lo lascia. E lo perde anche oggi che Marco Bandiera ha annunciato il suo ritiro. Perché Marco Bandiera era un romantico, era fuga e solitudine.

Grazie di tutto.