La doppia redenzione di mark Cavendish

La doppia redenzione di mark Cavendish

12/04/2021 1 Di Giovanni Battistuzzi

Era dal 2018 che il velocista non riusciva a vincere. Ce l’ha fatta nella seconda tappa del Giro di Turchia, proprio nel giorno che ha rivisto Fabio Jakobsen ritornare a farsi vedere in testa al gruppo (per aiutare Cannoball)


Lo scorso autunno al termine della Gent-Wevelgem Mark Cavendish aveva pianto annunciando che quella poteva essere “l’ultima gara della mia carriera”. Colui che per qualche anno era stato il velocista più forte al mondo sembrava essere all’ultimo atto di una carriera straordinaria ma che da diversi anni non riusciva più a trovare lo spunto vincente.

Quella Gent-Wevelgem non fu la sua ultima corsa: corse la Scheldeprijs, il Giro delle Fiandre e la Brugge-De Panne. E non fu neppure la sua ultima stagione. A De Panne infatti fu invitato da Patrick Lefevere, il general manager della Deceuninck – Quick Step, a fare qualche chiacchiera nel suo ufficio. Parlarono una mezz’oretta, “mi disse: ‘Non voglio fermarmi così. Voglio tornare’. Gli ho detto di non avere un euro, che il mio budget era già esaurito. Fu allora che mi fece l’offerta che non si poteva rifiutare: ‘Se trovo qualcuno disposto a pagare il mio contratto posso correre?’. Credevo che sarebbe stato difficile trovare qualcuno, ma una settimana dopo ho ricevuto una telefonata. Mi hanno chiamato dicendomi che avevano parlato con Mark ed erano interessati. Abbiamo iniziato a parlare e alla fine è successo”. Quella chiamata arrivava dall’America ed era stata fatta da Mike Sinyard, patron della Specialized, che non solo forniva le bici del Wolfpack, ma era anche un ammiratore di Cavendish dall’epoca del team HTC Highroad, la squadra che lanciò Cannoball nel grande ciclismo.

La Deceuninck – Quick Step si è ritrovata in casa un corridore in più, un velocista che in molti pensavano finito, che non vinceva da oltre due anni e che non sarebbe stato lì se non avesse trovato uno sponsor disposto a finanziare la sua causa. Le critiche furono tante, molte crudeli. La colpa di Cavendish qual era? Quella di essersi sbattuto in prima persona pur di continuare a fare ciò che gli piaceva?

Mark Cavendish ha preferito di rispondere con il silenzio alle cattiverie, si è fatto piccolo, in disparte, aspettando solo il momento giusto, quello buono per tornare a sprintare per lasciarsi indietro i cattivi pensieri che lo seguivano da anni. Non è mai semplice accorgersi che gli anni appesantiscono la pedalata e ristringono gli spazi nei quali un tempo ci si sarebbe buttati a capofitto.

Mark Cavendish si è rimboccato le mani, ha preso le misure tra Belgio e Italia. Oggi ha trovato quelle giuste, quelle che l’hanno condotto ad attraversare per primo il traguardo di Konya, seconda tappa del Presidential Cycling Tour of Turkey. L’ha superato con un urlo di rabbia e di pura libidine che conteneva dentro anni di scorie di delusioni e di cose che non dovevano andare com’erano andate.

Mark Cavendish si è redento nel giorno di un’altra redenzione, quella di Fabio Jakobsen. L’olandese, alla prima corsa e seconda tappa dopo il terribile incidente al Giro di Polonia dello scorso anno, si è messo a servizio di Cavendish, si è inserito nel treno, ha fatto il suo per tenere avanti l’ex campione del mondo.