
Il momento di Matteo Trentin a Le Samyn
01/03/2022Dopo un inseguimento durato dieci anni, Matteo Trentin è riuscito a vincere la sua prima corsa nella campagna del Nord. Finalmente
C’era un grande vuoto negli albi d’oro fiamminghi, o lì dove la terra sa di Fiandra, in quel Nord dove le pietre cancellano i confini e uniscono tutto e tutti in un’unica passione che prende il nome di pavé.
Spesso si sostiene che il tempo sia galantuomo, che sa in qualche modo, a noi non sempre chiari, sistemare le storture del passato.
Improbabile che sia davvero così. Sicuramente non è questo il caso.
Perché con quello che è andato in scena a Le Samyn con la galanteria del tempo non ha nulla a che fare. C’entra con l’ostinazione, la determinazione, la voglia di riscrivere quanto era accaduto sino a ieri, di un corridore che sulle pietre ha dato sempre più di quanto ha ricevuto indietro.
Matteo Trentin è riuscito a mettersi tutti dietro, finalmente, mettendo a posto le pagine di una storia d’amore iniziata oltre dieci anni fa, ma che ancora non si era trasformata in un sorriso compiaciuto, quello di chi il traguardo lo passa prima degli altri.
Tante volte tra i dieci, quattro volte sul podio, terzo. Sempre mai domo, sempre in attesa del momento giusto, quello che avrebbe dato
Matteo Trentin ha vinto finalmente in quel Nord che considera quasi una seconda casa, che ha abbracciato ancor prima del passaggio nei professionisti. Che ha conosciuto “in maniera avventurosa. Sono cresciuto facendo ciclocross, e nell’inverno 2010 sono venuto a fare delle gare in Belgio. Quasi da solo. Ero ancora dilettante. Ho preso un furgoncino e sono partito. Io e un indiano…”, raccontava alla Gazzetta nel 2014.
Un viaggio che divenne porta d’ingresso a quel mondo che voleva e inseguiva allo stesso modo nel quale ha sempre corso in bicicletta.
“Il furgoncino me l’aveva dato il Team Brilla, per cui correvo. Il ragazzo indiano era un caro amico cresciuto a Borgo Valsugana come me. Niente meccanico, niente massaggiatore. Ci arrangiavamo, facevamo tutto noi, compresa iscrizione e documenti. Dormivamo prima nei bed and breakfast, poi presso una famiglia locale che avevamo conosciuto, vicino a dove abita Eddy Merckx, pensate. Il contatto con la Quick Step è nato anche così”.

Trentin passa professionista nel 2012. Dieci anni dopo è riuscito a togliere quello zero dalla casella delle vittorie nella campagna del Nord. E l’ha fatto nella corsa che più forse gli si addice.
Non per percorso, per storia.
Perché Le Samyn è una corsa che è un cognome e un ricordo. Ricordo di un corridore che per ardore era come lui.
Perché Le Samyn è un rinnovo annuale della memoria. Quella di José Samyn, determinazione e tigna a pedali, uno che come Matteo Trentin non mollava mai e che quando faticava ad andare avanti di gambe si appendeva al manubrio e andava su di gomiti, spalle e bacino. Si attaccava alla bicicletta e cercava il di più, quando quello che aveva non bastava. E non bastava quasi mai.
José Samin era francese, ma cresciuto nelle Fiandre perché altro non poteva fare uno come lui, uno che considerava il pavé qualcosa di meraviglioso, l’essenza stessa del ciclismo.
José Samyn sulle pietre aveva deciso di crescerci e sulle pietre sapeva andare forte, perché di nulla aveva paura quando faceva rimbalzare le ruote su di esse: amore per discendenza materna. Morì al criterium a Zingem dopo aver battuto la testa dopo aver trovato sulla sua strada uno spettatore, uno che lo applaudiva e l’avrebbe voluto vedere vincere. Allo stesso modo di un anno prima, quando lo vide finire davanti a tutti sotto lo striscione d’arrivo della prima edizione del Grand Prix de Fayt-le-Franc, la corsa che dal 1970 iniziò a portare il suo cognome. La stessa che Matteo Trentin è riuscito a vincere il primo marzo del 2022.