Mi hanno rubato la bici

Mi hanno rubato la bici

11/10/2022 0 Di Giovanni Battistuzzi

Guardavo e non capivo, perché mentre guardavo non vedevo. Si capisce niente quando si guarda e non si vede. Si resta impalati, con gli occhi aperti e un’espressione da pirla in volto. O almeno così credo, che mi sono mica visto quel giorno. Quel che è sicuro è che ero fermo, guardavo davanti a me, non vedevo niente e proprio per questo non capivo. Ho nemmeno bestemmiato, il mio cervello era in pappa, e non per le dieci ore in redazione. Era in pappa perché lì davanti era apparsa un’assenza.

La mia bici.

Mi hanno rubato la bici.

Un piccolo avvilimento cresceva, ma era ancora un avvilimento non del tutto consapevole. Era mica possibile che m’avessero ciulato la bici. Era lì la mattina quando ero uscito per andare in redazione, rubano mica di giorno, mi dicevo. Rubano anche di giorno, perché non dovrebbero? L’avvilimento aumentava, iniziava lo sconforto. E mi veniva quasi da piangere. L’avrei fatto se non mi fosse salito un nervoso, che era rabbia ma non del tutto, che mi tremavano le mani.

Mi hanno rubato la bici.

L’avrei ammazzato quello che m’aveva ciulato la bicicletta, e per di più di giorno e dentro il portone del condominio e giù dalle scale che portano in cantina. Mi tremavano le mani e lo avrei ammazzato.

Ce l’avevo mica a tiro però e allora gli ho augurato morti orribili e sofferenze indicibili. Mi sono mai pentito di avergli augurato morti orribili e sofferenze indicibili e quando ci penso, e ora ci sto pensando, gliele auguro ancora: morti orribili e sofferenze indicibili.

Mi hanno rubato la bici.

Era una bella bicicletta la mia bici. Una Wilier d’acciaio, Strada il modello. Era abbastanza pesante, ma era solida, si pedalava bene e non ti dava mai problemi né alla schiena, né ai polsi, né con cambi, freni e accidenti vari, perché era solida. Ed era d’acciaio, che io preferisco l’acciaio, mi piace pedalare qualcosa che so che mi seppellirà, perché è destinato a durare più di me. E poi c’ha un suono bellissimo l’acciaio, tintinna che è una meraviglia, ha un suono squillante, non suona di morto come il carbonio. Cambierei l’acciaio per nessun metallo al mondo, nemmeno per la lega utilizzata per la bicicletta di Ganna, che è tanta roba, ma non percepirei giovamento, vado piano, sempre andato piano. Anche perché a me della leggerezza interessa niente, sono pesante io, è pesante la mia pedalata e a far gare ci penso per niente. Le detesto le gare, detesto la competizione. Mi piace pedalare al mio passo. Mi piacciono le cose solide e che durano e la mia Wilier era una bicicletta solida e che durava. C’aveva sei anni, c’ho pedalato oltre diecimilacinquecento chilometri, o almeno così dice Strava, in realtà molti di più anche se quanti di più non lo so, non ricordo. Non ha mai avuto un problema, scricchiolava neppure.

Era una bella bicicletta che valeva poco, non molto almeno, nonostante c’avessi cambiato le ruote. C’era niente di lusso in quella bici, ma era elegante, sono sempre eleganti le biciclette che hanno il triangolo del telaio che è un triangolo. Mi fregava niente che non fosse una bici di lusso e mi fregava niente che gli altri ciclisti della domenica, quelli che pedalavano pesanti su bici leggerissime, l’etichettassero come un cancello. L’avrei mai cambiata la mia bici. O meglio, sì l’avrei cambiata, ma a patto di trovarne un’altra in acciaio più bella, tipo quella color rame che fa sempre la Wilier. In ogni caso l’avrei tenuta per farci i viaggi, perché per fare i viaggi era perfetta la mia bici, sarà stata anche un cancello, ma era perfetta.

L’avrei mica cambiata la mia bici. Me l’hanno rubata. E ora mi tocca pensare a prendermene un’altra, una che non avrei mai preso altrimenti perché avrei tenuto quella, quella che mi hanno rubata.

Sono mica uno che cambia bicicletta così. Magari lo dico che vorrei una bici nuova, ma lo faccio mai. Forse è stupido, ma mi sembra di fare torto alla mia bicicletta.

Perché su quella bicicletta sono salito su fino alla cima del Passo dello Stelvio. E anche lì uno ha detto che era un cancello. Ma io ci sono arrivato lo stesso che tanto qualche chilo in meno non avrebbe cambiato niente. Se fatico è perché sono sempre fuori allenamento, conta mica la bici. E sono andato pure sul Ghisallo, sulla Colma di Sormano, sul San Boldo e fino a Monte Cavo, che sta a due passi da Roma, ma uno non ci pensa mai di andare, che ci sono le buche, un sacco di buche.

Gliene fregava niente delle buche alla mia bicicletta, superava tutto: sterrati, prati, sentieri, le strade di Roma. Mai uno scricchiolio, mai un lamento, era un caterpillar. Si faceva mica problemi la mia bicicletta di fare cose poco ortodosse. Era un sacco anarchica, girava ovunque, e stupiva quelli in mountain bike che la guardavano, mi guardavano, e chiedevano: ma sei venuto fin qua con quella? Certo. Sciocchi.

C’è più la mia bicicletta. E spero che chi me l’ha rubata stia malissimo. Lo odio e continuerò a odiarlo. Lo perdonerò mai. Perché ci volevo bene alla mia bicicletta. Abbiamo fatto un sacco di cose assieme. Mi ha accompagnato attraverso a un sacco di incazzature, tristezze e malumori. Pedalare serve a dare il giusto peso alle cose, ti suggerisce che si è piccoli, un granello di polvere rispetto a tutto il resto. Se ce lo si ricorda anche i problemi si rimpiccioliscono un attimo, anche loro si fanno piccoli. Lo si ricorda mai però. Servirebbe essere piccoli così i problemi diventerebbero piccoli, invece si cerca sempre di essere grandi, più grandi, grandissimi. Che imbecilli.

E poi era la prima bicicletta da corsa che ho avuto. La prima nuova, mai pedalata da nessuno. Avevo risparmiato per averla, a lungo, si prende mica tanto quando si inizia a fare i giornalisti, proprio poco. E di quel poco avevo messo via un po’ per la mia prima bicicletta mai pedalata da nessuno.

Fa davvero schifo quando ti rubano la tua bicicletta. Perché ti senti violato, come se ti sottrassero un pezzo di te. Ci pensi mai che la tua bicicletta sia un’altra cosa rispetto a te, o almeno questo succedeva a me, perché pensavo sempre che è bello che dove finiscono le mie gambe e le mie mani e le mie chiappe, debba in qualche modo incominciare una bicicletta, la mia bicicletta.

Mi hanno rubato la bici e mi toccherà sceglierne un’altra. Anche se non volevo sceglierne un’altra. Rivorrei la mia, anche se dicevano che era un cancello: avevamo ancora un po’ di cose da fare assieme.