
Milano-Sanremo. Matej Mohoric è diverso
19/03/2022Attorno a Matej Mohorič, qualche decina di metri dopo il traguardo della Milano-Sanremo, si erano radunati gran parte del meglio del ciclismo mondiale, sicuramente il massimo che aveva conquistato il proscenio della Classicissima. La corsa era finita da poco più di un minuto ed era tutto un colpo sulla spalla, tutto un complimento, tutto un bravo diretti al campione nazionale sloveno.
L’unico che si era tenuto distante da questo cenacolo era stato Anthony Turgis. Il francese cercava di riprendere fiato, aveva le mani nervose che tremavano. Non guardava da nessuna parte, aveva lo sguardo perso nel nulla. Rimuginava. Pensava a quello che era mancato. Due secondi appena. Due secondi di troppo.
È sempre così: meglio terzo di secondo, meglio battuto nettamente che battuto di un pelo.
Turgis guardava il niente e pensava che quella era una grande occasione, davvero una gran occasione, che una Milano-Sanremo cambia una carriera, sicuro dà un tono all’ambiente. Soprattutto questa.
Matej Mohorič la Milano-Sanremo l’ha vinta, Anthony Turgis è arrivato secondo, Mathieu van der Poel terzo. Peggio è andata a Tadej Pogačar, quinto, a Wout van Aert, ottavo. E sì che si erano impegnati perché andasse diversamente.
Tugis era il più deluso di tutti. Gli altri hanno riso e sorriso, si sono dati appuntamento alla prossima, e non sarà tra un anno, non laggiù in Riviera, ma ben prima
Mohorič ha gradito tutto. Soprattutto la stretta affettuosa di Jan Tratnik e Damiano Caruso, compagni di squadra.
Si è accorto solo in seguito di quello che aveva fatto. Giù dal Poggio, più che una discesa, un atto di funambolismo.
Poteva andare diversamente. E non per meriti e demeriti ascensionali. Poteva essere un patatrac, lo sarebbe stato per nove decimi dei ciclisti occasionali e forse per una parte del gruppo. Non per lui, non per Matej Mohorič. Lo sloveno è finito a fuori dalla carreggiata, sulla banchina di qualche centimetro più bassa della sede stradale. Per di più in curva. Non ha fatto una piega, ha fatto saltare la bici, ha ripreso come se niente fosse successo. Anzi ha continuato, ha accelerato ancora.
La Milano-Sanremo, questa Milano-Sanremo, ma non solo questa, è la rivincita del versante che non viene mai considerato dei colli, quella che scende e non sale.
E sì che a salire verso Poggio, Pogačar aveva fatto di tutto per liberarsi dalla compagnia. E pure Søren Kragh Andersen aveva deciso di tentare il colpo a sorpresa, la carta matta, l’aggressione all’impero dei più forti. Non fosse stata per la determinazione di Pogačar…, penserà il danese.
Tutto vano.
Come gli oltre duecentottanta chilometri di fuga di Samuele Rivi e Alessandro Tonelli; gli oltre duecentosettanta di Yevgeniy Gidich e Diego Pablo Sevilla; gli oltre duecentocinquanta di Filippo Conca, Artyom Zkharov, Filippo Tagliani e Ricardo Alejandro Zurita.

Come il gran ritmo sulla Cipressa. Come gli scatti e controscatti su per il Poggio.
Ci sarà tempo e modo per dare spazio all’ascesa. Il ciclismo l’ha sempre messa al centro di tutto, ora le ha eliminato di torno tutto, non le ha lasciato solo il palco, ma tutto il teatro. Dalla Freccia Vallone ai grandi giri.
La Milano-Sanremo però è diversa, lo è sempre stata.
Giovanni Gerbi, il Diavolo rosso, aveva deciso di vendersi la possibilità di vincere e lasciare spazio a Lucien Petit-Breton perché era sicuro che non sarebbe durata. Si sbagliava.
La Sanremo non solo ha resistito al Diavolo rosso e al tempo, è resistita pure al tentativo di essere fagocitata dalla salita.
Matej Mohorič l’ha ribadito tracciando il miglior percorso, quello più veloce giù dal Poggio. Che sono pochi chilometri ma una bella tele per pittori delle curve. Nel 1987 Vincenzo Torriani, che il Poggio se lo inventò in corsa, fece diventare quell’asfalto una cronodiscesa. Vinse Stephen Roche, uno che ha sempre avuto talento, soprattutto pelo. Disse a fine tappa: “Vengono i brividi, ma che emozione”. Lech Piasecki, secondo al traguardo, fu più esplicito: “Libidine. Ma davvero”. Altri non furono così entusiasti, l’esperimento non venne replicato, se non al Giro 2020. Matej Mohorič non c’era. Si sarebbe divertito.
Perché per Matej Mohorič la bici è essenzialmente questo: divertimento. Lo ha detto sempre, lo continua a dire. Su di una bicicletta lo sloveno ci starebbe giorni, settimane, mesi. Una vita intera. Ogni tanto trova sulla sua strada un motivo in più per continuare a farlo