Milano-Sanremo. Lo sguardo di Mathieu van der Poel

Milano-Sanremo. Lo sguardo di Mathieu van der Poel

18/03/2023 0 Di Giovanni Battistuzzi

Forse c’aveva ragione Paola Turci: “È questione di sguardi / È, un attimo / Così, così magnetico“. Mica per tutto sia chiaro, ma quanto meno per qualche sottigliezza, qualche cosa come la Milano-Sanremo. Questione di sguardi. Chiedetelo a Mathieu van der Poel. Erano quattro davanti a poche centinaia di metri dalla cima del Poggio: Filippo Ganna, Tadej Pogacar, Wout van Aert e Mathieu van der Poel, in ordine alfabetico. L’unico che si è guardato indietro è stato l’olandese. Va mai bene guardarsi indietro, è vecchia regola del ciclismo. Eppure ogni tanto è va fatto. C’era nessuno dietro ai quattro, nessuno almeno di visibile dal loro punto di vista.

E allora tanto valeva tentare. S’è detto questo, probabilmente, Mathieu van der Poel. Una botta, un colpo. Ce l’aveva in canna, ce l’avevano tutti, c’era nessuno del tutto al gancio. Sono campioni, non cicloviandanti della domenica. Ognuno di loro sa come oltrepassare i limiti che sono degli altri esseri umani. Mathieu van der Poel però ha guardato dietro, con la coda dell’occhio, ha visto il vuoto, s’è detto che a far da soli si va meglio che a fare in tre. È scattato. Ha fatto da solo la discesa, pure gli ultimi due chilometri di piano. Mathieu van der Poel ha vinto la Milano-Sanremo.

Si va sempre meglio da soli a un certo punto della corsa in certe corse. Perché dietro è sempre un ricatto, un gioco di limature, che poi fa sempre rima con fregature. Si cerca di fare il minimo perché si pensa sempre che gli altri siano abbastanza fessi da dare tutto. Solo che di pirla ce ne sono pochi in gruppo e si finisce sempre a finire, ben che vada secondi. C’è niente da recriminare, succede. Non è nemmeno colpa loro, probabilmente è insito nell’essere umano. I Filippo Ganna, i Wout van Aert, i Tadej Pogacar di oggi sono i tanti di decenni e i chissà chi di domani. Corridori eccezionali, che però hanno o guardato troppo o troppo poco, insomma che hanno perso l’attimo, hanno fatto un’addizione quando invece dovevano fare i conti di sottrazione. E a sottrarre e sottrarre e sottrarre si finisce per restare soli. Mica male poi quando si è su di una bicicletta.

E sì che l’aveva preparata alla grande Tadej Pogacar. Tim Wellens per poco non lo accompagnava verso la solitudine. Poi lui aveva dato una botta, e pure di quelle che fanno male. Ma il Poggio è terreno ascendente di quelli sempliciotti, non amano le sgasate delle fuoriserie montane (altrove ai corridori come lui va meglio, molto meglio).

A rimanere solo in cima al Poggio è invece stato Mathieu van der Poel. Che è poi quello il momento migliore per restare soli. C’è niente di meglio. Non ha nemmeno dovuto fare una discesa a rotta di collo, tipo Matej Mohoric un anno fa. L’ha fatta forte, ma nessuna follia. Nessuno ha fatto follie.

Quello che doveva fare Mathieu van der Poel l’aveva già fatto. Aveva sfruttato l’attimo giusto. Era rimasto solo tra uomini soli, senza nessun anima pia di un gregario buono a prendersi sulle spalle i lavoracci infami che un capitano non vuole svolgere. E ci mancherebbe altro. Meglio perdere da chi è stato più bravo (o furbo) che passare per pirla e perdere fregato da chi ti è stato a ruota. Lo devono aver pensato Filippo Ganna, Tadej Pogacar e Wout van Aert. Hanno tirato, c’hanno sperato di riprendere l’olandese, ma fino a un certo punto. Al primo segnale di fregatura altrui hanno tirato indietro la gamba tutti.

Intanto Mathieu van der Poel andava. E andava che era un piacere vederlo. È sempre piacevole vedere pedalare Mathieu van der Poel. E non perché si più elegante o bello degli altri. Non è questo e per il semplice fatto che non è così. Solamente perché quando pedala sbuffa, sembra scoppiare, suda, fatica, soffre, ma sempre con un sorriso che ti senti meno scemo. Perché sai benissimo che quando pedali sbuffi, scoppi, sudi, fatichi, soffri, c’hai sempre il sorriso stampato come uno scemo in faccia. E quando lo vedi nel volto di uno che non riusciresti a tenergli nemmeno la scia, ecco che tutto questo è un bel piacere.

Ed è un piacere vedere pure la Milano-Sanremo, tutta la Milano-Sanremo. Che saranno anche duecentosettanta chilometri senza troppi scatti o cataclismi ciclistici, che sarà anche una noia come dicono i criticoni, ma ti permette di guardare il paesaggio, leggere curiosità, un libro, berti una birra in santa pace, sistemare casa, sorridere a chi hai a fianco senza sentirti in colpa. È una porta verso il mondo che ti circonda la Milano-Sanremo, ti fa cogliere piccole cose, inezie forse, che possono essere forse utili in futuro. O anche no, magari non serviranno a nulla. Poco male. Però chissà. Magari aiuteranno a cogliere l’attimo giusto tra chissà quanto. Agevoleranno e guideranno lo sguardo. È una questione di sguardi, forse.