
La Milano-Sanremo più lunga nei baffi di Corlaita
19/03/2021La Milano-Sanremo del 1915 durò 10 ore e 30 minuti circa. Almeno su strada. Poi ci volle un’altra ora e mezza per capire se aveva davvero vinto Girardengo, non ancora Campionissimo
Ezio Corlaita era un bell’uomo, alto e grosso come un granatiere, fatto “di muscoli prestanti pronti all’azione e un’indomita abnegazione per la lotta sul velocipite”, raccontava Renato Casàlbore sulla Stampa Sportiva. Ezio Corlaita aveva un ciuffo “pettinato come la moda vuole” e un paio di baffi “che faceva palpitare il cuore di tante donne”. Baffi che seguivano i cambiamenti del suo umore, e che, essendo fumantino, “seguivano l’ondivago senso dei tempi e degli eventi”. E quel 28 marzo 1915 il senso dei tempi e degli eventi cambiò così tante volte che i suoi baffi assecondarono gli angoli della sua bocca a tal punto che si arruffarono tutti e poco mancò che si arruffasse pure lui contro la giuria di corsa.
Quel 28 marzo 1915 era da poco finita la nona edizione della Milano-Sanremo. Aveva piovuto tutto il giorno e così tanto che i corridori sentivano impregnate d’acqua pure le ossa. Era finita alle 16,54 con Costante Girardengo avanti a tutti di quasi sette minuti, dopo aver percorso i 290 chilometri in 10 ore 29 minuti e 45 secondi. Il sarà Campionissimo era riuscito a ribaltare una corsa che sembrava aver perso ancor prima di arrivare in vetta al Passo del Turchino. Corlaita, Lucotti e Gaietti avevano salutato tutti e filavano di buona lena e di buon accordo sulla costiera, mentre Girardengo inseguiva affannandosi a minuti di distanza con il solo Gremo che ogni tanto si degnava di dargli un cambio.
A San Bartolomeo al mare però i tre davanti iniziarono a bisticciare, forse per una mezza parola in più o in meno, forse per un cambio saltato. Il vantaggio dei primi iniziò a erodersi, a diminuire a palate di secondi ogni chilometro.
All’imbocco di Porto Maurizio il distacco era di un minuto. Girardengo, ringalluzzito, rincorreva fregandosene anche della presenza di Gremo. Spingeva a testa bassa, e così forte, che nemmeno si accorse delle indicazioni di svoltare a destra per il lungomare. Attraversò il paese. E quando fu fuori dalle case del centro iniziò a intravedere i fuggitivi.
Li riprese e immediatamente li diede centinaia di metri di distacco. Il povero Gremo, spompato e ansimante, decise di lasciare andare Girardengo e rimase coi tre. Il sarà Campionissimo divenne schiena, poi polvere, infine ricordo. Non lo videro più.
A Sanremo il campione di Novi arrivò primo, solo, festante. Con un sorriso di quelli da fotografia e la faccia soddisfatta di chi sapeva di aver fatto una gran cosa. Se ne andava in giro per l’arrivo felice, stringeva mani, sorrideva alle donne. E così per minuti: il secondo e il terzo, Corlaita e Luccotti, si fecero attendere. Il podio era già pronto, l’omino sta per ricevere i fiori della sua prima Classicissima quando arrivò trafelato un osservatore di percorso. Chiamò i giudici di gara: Girardengo ha tagliato il percorso.
La giuria sbiancò. E ora? E ora si blocca tutto, si riscrive ciò che la gara ha detto.
La giuria parlottava e i baffi di Corlaita iniziarono a muoversi, a roteare. Smisero di puntare a terra, uno dopo l’altro si ersero a guardare il cielo.
I giudici di gara chiamarono Gremo, lo fecero sedere, iniziarono con le domande. Domande a cui lui rispose con serena semplicità, con sincerità, che sia mai che Gremo potesse mentire, religioso com’era.
I giudici si chiusero in un bar. Si azzuffarono per mezz’ora. Uscirono. Fine della prima riunione. Gong. Pausa. Un “maaa” sospeso. E allora di nuovo dentro. Altri litigi, un’altra mezzoretta di azzuffata verbale. Si riversano di nuovo fuori, questa volta sorridenti e tutti d’accordo. Vanno spediti da Costante Girardengo e gli dicono che la Milano-Sanremo l’ha vinta Ezio Corlaita. Colpa del taglio del percorso.
Il sarà Campionissimo imprecò, provò a spiegare che cinquecento metri in quasi trecento chilometri sono una sciocchezza. E che era cinquecento metri in meno ma sulle pietre. Eccheddiamine. Ma i giurati dissero che no, che è il regolamento.
“Le disposizioni del regolamento rigidamente, ma giustamente applicate – scrive Alfredini sulla Stampa sportiva –, non hanno permesso a Girardengo di segnare il suo nome nell’aureo album che già registra una collana di nomi gloriosi che s’inizia da Petit Breton e termina con Agostoni, dopo avere inquadrato Van Houwaert, Ganna, Cris-tophe, Garrigou, Pelissier e Defraye, ma la squalifica, che gli ricorderà in avvenire che un grande campione, com’egli è, non deve ricorrere a mezzucci non degni di lui, per riportare quelle vittorie che i suoi grandi mezzi gli permettono di aspirare, nulla toglie al valore della sua performance”.