
Quella Milano-Sanremo privata
16/03/2022Un scommessa persa e un viaggio da Milano a Sanremo in bicicletta nella speranza di vedere Fausto Coppi vincere. Storia di una Milano-Sanremo privata
Vallo a spiegare te al prete che Costante, mica era per Costante Santello, il capo dei socialisti della zona, ma per quell’altro, quello che pedala, quello che veniva dall’Alta Itali e vinceva tutto, Girardengo. Ci discussero giorni e alla fine il signor Paolo e la signora Pina dovettero cedere. Il bimbo fu chiamato Pio, ma solo in chiesa, perché all’anagrafe rimase Costante. E solo lì: per tutti fu Sante, Sante e basta. Per tutti quelli di Vallo della Lucania, che di biciclette sapevano poco o niente, e pure per tutti quelli di Milano, che invece di ciclismo ne parlavano spesso se non sempre. A Milano si trasferì che ancora aveva le braghe corte e a un certo punto si ritrovò a costruire macchine che mai si sarebbe potuto permettere.
Sante il terùn che parlava milanese, ma con quell’accento di giù, e che milanesemente pedalava su di una Bianchi come quelle dei corridori comprata chissà come e chissà perché per due lire da un sciur che s’era fatto la molto meno milanese Topolino.
Costante Lamacchia aveva iniziato a pedalare sotto le bombe che presero Milano sfiorando il Vigorelli. E non aveva più smesso. Lavorava per il pane, pedalava per amore, quello per Fausto Coppi.
Colpa del Vigo, di quell’ora a vedere pedalare l’Airone in tondo all’inseguimento dello spettro di Maurice Archambaud alla ricerca di un record che nessuno sapeva dov’era.
Lo chiamava così, l’Airone, che Campionissimo era l’altro, Costante, quello di cui portava il nome. Da quel giorno a vedere Coppi, al Vigo ci andava ogni volta che poteva, fosse stato solo per un’occhiata fugace. E non solo. Giro di Lombardia, Giro d’Italia, avvio della Milano-Sanremo, Tre Valli Varesine, Trofeo Baracchi, tutto ciò che era a due tre ore di bicicletta lui lo raggiungeva.
Soprattutto la partenza della Classicissima, quando i corridori erano tranquilli e ci si poteva avvicinare. Certo mica al Fausto, ma gli altri sì. E poi c’era quel burla del Zanazzi, Valeriano, che aveva qualche anno in meno di lui, ma mica troppi, e due bicchieri in osteria se li prendeva sempre con lui a parlare di bici e donne. Divennero amici lui e il Valeriano. Un’amicizia di chiacchiere, carte, un po’ di vino e scommesse. Su tutto, ma così per fare, che di soldi ne avevano tutti e due pochi. “E se rivince il Loretto te a Sanremo ci vai a pedali”. “Ma che Petrucci e Petrucci, vince il Coppi e così a Sanremo mi ci porti tu in macchina e mi ci paghi pure un pranzo di pesce”.
Il 19 marzo 1953 Fausto Coppi finì nono, Loretto Petrucci fece il bis e Valeriano Zanazzi, che ormai di professione faceva l’ex corridore, se la rise alla grande: “Ueh pistola, preparati che arrivare a Sanremo l’è longa”.
Da Milano a Sanremo sono 282 chilometri. Tra loro c’è la pianura padana da superare tutta, l’Appennino sotto forma del passo del Turchino che di turchino non c’ha nulla se non il primo sguardo dopo il tunnel una volta che si è in cima, e poi tutta la riviera di ponente.
E due stagioni di mezzo: l’inverno all’inizio, la primavera alla fine. Tra Milano e Sanremo ci sono ore a pedalare. E un’unica speranza: che faccia bello e non ci sia troppo vento in quel lungomare infinito che lungomare non è, piuttosto un piùomenoaltomare, un su e giù continuo a far la barba alle incomprensibili scelte della natura.
Costante Lamacchia la Milano-Sanremo l’aveva sognata da quando era piccolo. E come poteva non farlo col nome che si portava dietro: Girardengo l’aveva vinta sei volte, come lui nessuno mai (almeno sino ad allora). Aveva iniziato prima a temerla, poi a odiarla, che 282 chilometri sono una cifra mostruosa per uno che non fa il professionista. Tant’è. La scommessa l’aveva persa e il Valeriano pretendeva il mantenimento della parola.
Da Milano partì all’alba del 18 marzo 1954 per una Milano-Sanremo privata. Con la paura di non farcela e la speranza, che già che era là, di vedere almeno l’Airone volare sull’arrivo.
A Sanremo, che ormai non era più esclusiva della bicicletta ma ci cantavano pure, c’arrivò quattordici ore dopo, giusto in tempo di trovare ancora un minimo di luce e il Valeriano e altri due pistola con il tavolo prenotato in osteria.
Si ubriacarono, qualcuno giura di averli visti addirittura nuotare per farsi passare la sbornia ed evitare di litigare con la moglie di chi li ospitava. Ma questo probabilmente è leggenda.
Certo è che il giorno dopo Coppi non vinse per la disperazione del Sante. Primo all’arrivo fu Rik van Steenbergen, quarto belga nella storia a riuscirci.
Ancor più certo è che quello fu l’inizio di un periodaccio per gli italiani: per diciassette anni non vinsero. Zanazzi era sicuro che la colpa fosse di Costante Lamacchia e di quella sua Milano-Sanremo privata. Perché di una cosa era sicura: qualche cristo e qualche madonna sicuro che gli erano partiti.