La Sanremo, corsa futurista e il sogno di Cancellara

22/03/2015 0 Di Giovanni Battistuzzi

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E’ una lunga agonia, la più lunga in calendario. 298 chilometri, mai nessuna così, una litania di asfalto tra pianura, all’inizio, Appennini, il Turchino, e mare, Tirreno. E’ corsa da ruote veloci, spesso, ma non sempre; è azzardo, il casinò lì vicino, strade strette a salire, dolci, vortici a scendere. E’ arrivo anticipato, in via Roma, per premiare lo spettacolo delle biciclette rispetto a quello delle onde, più possibilità di arrivare per chi la botta prova a darla, ma non è detto, i velocisti saranno là, a mordere le ruote degli attaccanti, perché la Milano-Sanremo è corsa aperta a tutti, la più facile forse, almeno per altimetria, la più difficile, sicuramente, da interpretare.

 


 

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Rimangono i capi, Mele-Cervo-Berta, lì da sempre, rimane la Cipressa, l’ultima a essere stata inserita, anno 1980, rimane infine il Poggio, inserito nel 1960, decisivo in un modo o nell’altro sempre. Lì si prova la sparata, si sgrana il gruppo, si prova a far perdere le ruote buone agli sprinter, andarsene è dura, ma se si gettano le basi giuste, c’è la discesa per andarsene, veloce, ripida, tecnica, almeno all’inizio, poi si addolcisce e servono gambe e determinazione. Di queste Fabian Cancellara ne ha a pacchi, ma fare la differenza è altra cosa. Finora ce l’ha fatta una volta, una sola, era il 2008, poi tre secondi posti e un terzo, tutti negli ultimi 4 anni. Spartacus parte oggi ancora con l’obiettivo di far saltare la corsa, non favorito forse, come sempre del resto, ma “favoribile”, piazzato sicuro, che sembra attestato di stima, ma in realtà equivale a dire, “bravo, è bravo, ma a vincere non ce la fa, comunque complimenti lo stesso”. Non proprio il massimo per uno che ha vinto quattro mondiali a cronometro, tre Fiandre, tre Roubaix e una quarantina di altre corse.

 


 

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La vittoria di Fabian Cancellara nel 2008


 

 

Cancellara quindi, ma non solo. C’è Sagan, golden boy del ciclismo mondiale, il più forte nelle gare di un giorno del futuro, forse, ancora impantanato tra piazzamenti e mancanza di vittorie nelle gare che contano; c’è Kwiatowski, campione del mondo dalla sparata intelligente, bravo a capire quando c’è da partire; e poi Van Avermaet, Nibali, Gilbert, gente coriacea, ma a zero vittorie in Riviera. Perché la Sanremo mica si vince con il palmares e con la storia passata, c’è bisogno di motore, e questo c’è, di fondo, e questo pure, ma soprattutto di velocità, che è scatto e volata, ma che è anche scaltrezza, capire un attimo prima degli altri cosa succederà.

 

Perché a Sanremo qualcosa succede sempre. Non sono più gli anni di Zabel e del ciclismo in provetta, dove era volata e volata era sempre, è qualcos’altro, che sprint può essere, ma a ranghi ristretti, allungati, non sempre omogenei.

 

Ci vorrà velocità e tempistica per battere gli sprinter, che poi sono Cavendish e basta, perché gli altri, ossia i Kristoff, i Dengekolb e i Matthews sono quella nuova generazione di ruote veloci che ricordano le antiche generazioni di velocisti, i Poblet, i Mara, i Dancelli, gente di resistenza e tenacia, capaci di vincere in volata e per distacco, di attaccare e non darsi per vinti. Toccherà loro inseguire gli avventurieri, forse, sempre che uno di loro non decida di seguire gli attaccanti come successo a Goss nel 2011 o Ciolek nel 2013.

 

Sarà lotta, lo è sempre stata, sarà combattimento sino alla fine, incertezza. La Sanremo la si decide ovunque, ma la si ottiene, la si stringe nel rettilineo finale, così come nessun altra. E’ questa la bellezza della corsa, la sua peculiarità. Incertezza estrema, velocità elevata, nessun punto di riferimento. Se infatti il pavè è il vessillo della Roubaix, i muri in pietra quello del Fiandre, le côtes quello della Liegi, è l’assoluta mancanza di certezze quella della Sanremo. Tutto può accadere, ogni cosa è resa possibile da una confusione di ruote velocissime, di venti che abbracciano strade, che mai sono in piano, sono salite e discese impercettibili, sono erte dolci e marittime, che diventano gomitoli di discese tra muretti a secco e il blu verdognolo del mare all’orizzonte, niente di troppo duro, nessuna agonia profonda, ma velocità, pura velocità, amica dei poeti, futurismo a pedali, e tanti saluti a Marinetti e alla sua idea di macchine a motore.