
Pedalare sull’acqua
01/02/2021I mondiali di ciclocross a Ostenda non hanno visto solo il duello tra Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert, ma anche la messa in scena di un vecchio sogno della bicicletta: quello di conquistare l'acqua
I ciclisti e l’acqua non hanno mai avuto un buon rapporto. Checché ne dica qualche corridore che, per sua ammissione, dice di andar meglio con il freddo e con la pioggia, chi va in bicicletta ha sempre cercato di evitare l’acqua. Un po’ perché prendere pioggia non piace a nessuno – i gatti lo insegnano -, un po’ perché una strada bagnata fa spesso di tutto per attrarre a sé chi la percorre sui pedali, soprattutto perché l’acqua ha sempre cercato di inghiottire qualsiasi cosa che non prevedesse l’arte del galleggiamento. E proprio per questo motivo che, per un mezzo di locomozione che “altro non è che un galleggiare tra vento, polvere e ghiaia”, o almeno così scrisse Samuel Beckett, l’acqua ha sempre affascinato il ciclismo. Funziona così quando si vorrebbe domare ciò che non si riesce a domare.
Felix A. Coomans era un tipo eccentrico, animato da un positivismo ottocentesco molto americano. Uno che aveva come scopo nella vita quello di “cambiare il modo di vedere le cose”, insomma ribaltare il consueto perché “non esistono barriere a ciò che l’uomo può immaginare e, conseguentemente, conquistare”. Nella sua vita, che ha percorso una buona parte dell’Ottocento e un soffio del secolo successivo, brevettò oltre duecento invenzioni. Piccoli oggetti più o meno utili (uno sbatti uova inventato da lui fu utilizzato sino agli anni Sessanta del Novecento da un gran numero di americani). Quando Felix A. Coomans conobbe la bicicletta se ne innamorò a tal punto da eleggerla come la più grande invenzione mai fatta dall’uomo, perché allungava le distanze di ogni giorno accorciando il tempo, perché era alla portata di tutti in quanto non costava nulla mantenerla, perché, soprattutto, “univa ciò che è necessario, muoversi, a ciò è piacevole, ossia scoprire”.
Felix A. Coomans a Philadelphia abitava in una casa sulla sponda destra del Delawere. Lavorava in un’azienda sulla sponda sinistra del Delawere. Distanza in linea d’aria: circa seicento metri. Distanza via terra: poco meno di cinque chilometri. Il primo ponte non era così vicino. Fu per risolvere questo problema che Felix A. Coomans decise che una bicicletta non poteva non essere adatta alla navigazione. Fu così che si chiuse per due mesi, ogni fine settimana, nel suo studio per studiare una soluzione ai suoi problemi. E la soluzione la trovò: il velocipide marino.

Era convinto di aver inventato un mezzo rivoluzionario, di aver partorito l’idea che l’avrebbe fatto diventare ricco e immortale. Non fu così. Il velocipide marino lo registrò al registro brevetti di Philadelphia il 6 febbraio 1883. Due mesi dopo iniziò a produrli. Ne vendette una mezza dozzina. Non certo quelli che sperava. Felix A. Coomans però di questo non se ne crucciò troppo. Il suo sogno l’aveva realizzato, aveva fatto in modo di far conquistare alla bicicletta anche la superficie dell’acqua.
Dopo Felix A. Coomans in molti continuarono nell’impresa di far conquistare l’acqua alle biciclette. Anche il ciclismo fece la sua parte.
Uno dei sogni del primo patron del Tour de France, Henry Desgrange, era quello di portare la Grande Boucle sull’isola di Santa Margherita davanti a Cannes costruendo un ponte di barche. Si era convinto che la corsa a tappe francese avrebbe dovuto sfidare gli elementi dopo aver sfidato, vincendo, la natura umana. Ci volle tutta l’arte diplomatica del suo fido collaboratore Jacques Goddet per distoglierlo dall’impresa. Un sogno simile l’aveva Vincenzo Torriani, patron per cinquant’anni del Giro d’Italia: portare la corsa rosa a Venezia. Ce la fece il 21 maggio 1978 grazie alla cronometro che univa Mestre a Piazza San Marco.
Il Tour de France ha conquistato il Passage du Gois, una striscia di terra periodicamente sommersa dal mare lunga 4,125 chilometri, dove stare in piedi è spesso una questione di equilibrismo, maestria e culo. Quando va bene è uno spettacolo, un colpo d’occhio eccezionale. Quando va male un capitombolo.
Nei Paesi Bassi, che alla bellezza uniscono sempre la praticità, il mare l’hanno sfidato solo per sottrargli terra, per vivere insomma. Almeno nel ciclismo si sono sempre limitati a rispettare il gioco delle parti, l’hanno tenuto da sfondo più o meno ravvicinato. Le biciclette hanno pedalato sulle dighe, sui lungomare, sulle spiagge. A Ostenda ieri il mare è stato accarezzato dalle ruote delle biciclette da ciclocross, che a volte hanno rotto le sue onde che si adagiavano a riva.
Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert hanno preso spunto dal mare olandese e si sono tramutati in mareggiata. Pedalata dopo pedalata hanno travolto le resistenze di tutti i loro avversari. Hanno fatto diventare una questione privata il mondiale di ciclocross.




Quella dell’olandese è risultata essere quella più efficace, capace di superare per forza anche quella del belga. Van der Poel ha preso il largo sulla sabbia, dopo aver rischiato di perdere tutto tra fango ed erba. Si è vestito di nuovo dei colori dell’iride, sfiorando soltanto il sogno di Felix A. Coomans di domare le acque. Per quello ci sarà comunque tempo.
[…] bicicletta è dinamismo, immaginazione applicata al muoversi. C’è chi ha provato a pedalare sull’acqua, riuscendoci, chi si è limitato a strade, sentieri e pietre, facile, chi si è chiesto: perché non provare a […]