Il contemporaneo è pionieristico. Incontro gravel alla Nova Eroica

Il contemporaneo è pionieristico. Incontro gravel alla Nova Eroica

27/06/2022 0 Di Giovanni Battistuzzi

Sentì l’esigenza di parlare solo dopo qualche chilometro che si pedalava affiancati. Guardò prima in basso, verso la bici, prese la borraccia, ne bevve un sorso e si spruzzò la faccia. Piccole strisce scure si formarono sul suo viso rugoso e impolverato. La polvere era ovunque. Le alzavano le ruote delle altre, tante, biciclette, la trasportava in giro il vento, ben poco a dire il vero. Un altro sguardo alla bicicletta. Poi i suoi occhi si sportarono sulla destra, verso di me. “È una fortuna che si stia tornando a pedalare ovunque. Ai miei tempi, quando ho iniziato a pedalare, si pedalava ovunque”. I suoi tempi erano gli anni Settanta, precisò. “Si montavano gli pneumatici grossi e si pedalava ovunque con la bicicletta da corsa”, concluse. Non disse più un’altra parola. Rispose al massimo con cenni, la salita si fece difficile, lui scese di sella e con naturalezza prese a spingere la bicicletta come non ci fosse nulla di più naturale.

Negli ultimi cinquant’anni circa, dai suoi anni Settanta ai nostri Dieci appena passati, le gomme delle biciclette si sono progressivamente ristrette e progressivamente allargate. La bicicletta da corsa ha scelto l’asfalto e basta, il resto se l’è preso la mountain bike.

Erano mondi diversissimi quello di chi pedalava su biciclette da corsa e quello di chi pedalava sulle mountain bike, a tal punto diversi che i primi e i secondi si guardavano con sospetto. Non per tutti accadeva così, ma per buona parte sì. Una buona parte che era parecchio ampia. Saprei mica dire il perché, ma le cose si incancreniscono sempre quando ci si trova di fronte a somiglianze che si percepiscono diverse e che si compiacciono della loro diversità. Accade mica soltanto nelle biciclette, basta vedere cosa è successo alla sinistra italiana. E così, a ragionare razionalmente e con buon senso, emergerebbe che soffermarsi sul particolare senza considerare il generale, fissarsi sulla larghezza degli pneumatici invece di prendere in considerazione che il meccanismo che determina il moto è lo stesso, sarebbe una fesseria. Va spesso a finire così. E anche quando si pensa che è una idiozia sentirsi parte, sentirsi soprattutto parte, di un sottoinsieme e non di un insieme con molti sottoinsiemi, è mica semplice: in un modo o nell’altro ci si ritrova a fare i conti con un’abitudine talmente radicata da pensare che le novità non siano altro che una forma di marketing – che ci sarà pure, ma tant’è, non è solo questo – ed è così soprattutto per spocchia e pregiudizio.

Ho sempre pensato che la bicicletta fosse un mezzo adatto a esplorare il mondo, e se non proprio il mondo mondo, quantomeno il mondo prossimo, che fosse il modo migliore per non aver problemi ad andare ovunque, proprio come disse quel signore con il volto rugoso coperto di polvere asciutta e bagnata. E che tutto questo fosse il bello della bicicletta. Per questo motivo ho sempre pedalato ovunque, montando pneumatici più grossi e gonfiandoli meno, che l’importante era andare e a lungo, anche perché della velocità me n’è sempre fregato il giusto, forse pure meno del giusto. Sono ancora convinto di questo e spero di continuare ad esserlo per tutto il tempo che avrò davanti a me. È stato però per spocchia e pregiudizio che non avevo mai considerato davvero le gravel. Dicevo che il gravel è la ghiaia e che per pedalare sugli sterri bastano le biciclette normali. L’Eroica lo insegna e prima dell’Eroica me lo aveva insegnato la pratica bambina, quando con la bicicletta andavo ovunque. Dicevo che era una trovata di marketing, che era un oggetto che non era necessario, un surplus che serviva a rilanciare il settore. C’è mica niente di male a rilanciare un settore che si è già rilanciato di suo e che se le amministrazioni cittadine capissero davvero che il miglioramento delle città e della qualità di vita delle città passa anche dalla bicicletta, potrebbe rilanciarsi ancor di più e concedere benefici a tutti. L’Italia è da decenni e decenni che alle cose c’arriva dopo, a volte non c’arriva proprio, ma spesso c’arriva dopo. E spesso per spocchia e pregiudizio.

Mi ci sarei messo mai, o forse chissà tra quanto tempo, a pedalare su di una gravel, che tanto un mezzo per andare ovunque ce l’avevo già, ed era la mia bicicletta, quella con la quale già andavo ovunque perché avevo gli pneumatici abbastanza grossi per andare ovunque e mai con le atmosfere che piacciono a quelli che vanno forte solo sull’asfalto.

È sempre dura mettere in discussione ciò che uno considera una buona idea, una discreta intuizione.

Poi per la Nova Eroica, che è come L’Eroica, ma non si parte da Gaiole e si può pedalare anche con le biciclette moderne, mi chiedono se mi va di provare una gravel e pure di testare le nuove ruote della Campagnolo per le gravel: si chiamavano Levante. Appena letta la proposta mi sono detto che s’erano sbagliati, che io sono mica uno che può dire se una ruota è una bomba o una ciofeca, che io pedalo pure i cancelli pur di pedalare e mica mi accorgo se un modello è fantastico o appena sufficiente, che io alle bici ci voglio talmente bene che mi piacciono tutte, o meglio quasi tutte, ne lascio da parte poche e di solito quelle coi tubi un po’ frufru che pesano niente e che c’è gente che se le sogna. Ecco quelle non mi ispirano granché, che a me la bicicletta piace coi tubi che sembrano tubi, come è sempre stato.

So mica se la Cinelli Nemo Tig Gravel sia una mega bicicletta, una gran bicicletta o una bicicletta nella media, quello che so è che è una bicicletta che c’ha le forme da bicicletta coi tubi che sono tubi e per di più d’acciaio, che per uno che ha i polsi segnati da anni di dannata militanza portieristica (nel calcio, non negli hotel) è tanto roba; ha un bel suono l’acciaio, lo picchietti e suona bene anche adesso che pesa poco e niente. E so nemmeno se le ruote Campagnolo Levante siano eccellenti, buone o normali. So però che sopra questa bicicletta mi ci sono divertito parecchio. E mi sono divertito parecchio perché era come che su quella bicicletta c’avessi già pedalato, c’avessi pedalato da sempre. E che le ruote giravano alla grande, non mi hanno mai dato l’idea che qualcosa potesse andare storto e anzi rendevano ben più veloce e agevole la mia lenta andatura. Che una cosa l’ho capita pedalando per novanta chilometri alla Nova Eroica Buonconvento: la gravel non è una roba di marketing, ma una tipologia di bicicletta che ti permette di non sentire la differenza tra asfalto e sterrato. Te li fa sentire simili, ti toglie il pensiero di dover fare i conti con due tipologie di terreno diverse e questo permette di toglierti quei timori che ti fanno perdere anche per qualche attimo la possibilità di gustarti quello che c’hai attorno, che è il paesaggio, che è la compagnia, che è insomma tutto quel contesto che rende la bicicletta il mezzo migliore per muoversi in un ambiente.

È soprattutto un nuovo modo di intendere il pedalare, che poi è la riproposizione di quello antico, primigenio, ossia quello che la bici ha solo il tempo come limite, nel senso giornaliero e umano, e l’acqua, nel senso geografico di mari-fiumi-laghi, ché ancora le ruote galleggianti alla Pimpa non le hanno inventate. Per il resto si può fare tutto, ogni altrove può essere raggiunto. E anche con meno gambe di un tempo. Perché ora ci sono certi pignoni con più denti delle moltipliche d’antan che si sale pure su pendenze che sembrano impossibili.

Giancarlo Brocci quando si inventò L’Eroica non aveva fatto altro che dimostrare che tutto questo era realmente possibile. Che tutto questo sia stato riproposto in chiave moderna, non è altro che l’evidenza che questa idea, che altro non è che l’idea che la bicicletta sia un mondo senza confini e con possibilità assolute, stia prendendo sempre più piede, stia convincendo un numero sempre maggiore di persone. Si abbia sotto il sedere una gravel o qualsiasi altra bicicletta.

Questi anni, quelli che stiamo vedendo scorrere giorno dopo giorno mentre cerchiamo di oltrepassare quegli italianissimi casini che ancora ci troviamo davanti, che coincidono soprattutto con il pregiudizio che con solo mezzi a motore, a carburante o elettrico cambia nulla, ci si possa muovere; questi anni, dicevo, sono anni nei quali il muovere i pedali ci rende parte di qualcosa di più dell’essere persone in bicicletta, ci danno l’idea, e a volte la consapevolezza, che una realtà diversa sia davvero possibile e che sempre più gente se ne stia accorgendo; ci sembra che la salita stia per allentare la pendenza, che la cima si stia avvicinando e con essa la discesa, o quantomeno un altipiano che ci permetta di tirare il fiato. La speranza è che una volta in cima, il segno delle nostre pedalate si possa vedere ancora e assieme a esso altri segni di pneumatico, tanti tantissimi, sullo sterrato e che possano non essere spazzati via da una bava di vento, che la polvere che ci rimane addosso sia quella alzata dai nostri pneumatici o da quelli di altre biciclette e che non siano invece nuvole rumorose di polvere d’auto.