Onorare il Tour de France. Desgrange sarebbe orgoglioso di Dlamini

Onorare il Tour de France. Desgrange sarebbe orgoglioso di Dlamini

05/07/2021 0 Di Giovanni Battistuzzi

Henri Desgrange, l’inventore e il primo patron del Tour de France, era solito dire che non erano i corridori a fare il Tour, ma il Tour a fare i corridori. Il suo pensiero era semplice e lineare. La corsa a tappe francese era quanto di meglio si poteva trovare in giro e bastava a se stessa, i corridori per dirsi tali non dovevano far altro che correrla. Solo vincerla avrebbe permesso “l’ingresso nell’Olimpo dello sport”. Desgrange era un despota della fatica. Da pioniere di questo sport (primo recordman dell’ora), non poteva considerare nessuna forma di divismo in corsa, nessuna voce contraria a quella del Tour. Sul fatto che la voce della Grande Boucle fosse la propria, ci passava volentieri sopra. Erano tempi nei quali le corse stavano nascendo o consolidandosi e davvero valevano più dei corridori, per il semplice fatto che erano i centri focale della narrazione ciclistica. Senza di loro non ci sarebbero stati neppure gli atleti. Rappresentavano inoltre la storia, ancorché giovane, di un mondo che storia non aveva.

All’inizio degli anni Venti Desgrange stilò anche una lista di indegni della Grande Boucle. L’ingresso in questa lista non equivaleva all’esclusione dalla corsa, ma una serie di restrizioni, per esempio, prima tra tutte, il divieto di citarli nella carta stampata ufficiale, il quotidiano L’Auto. Ci entrava chiunque dimostrasse poco attaccamento alla corsa, chi si ritirava senza giusta causa – che per Desgrange era soltanto la morte, o quasi -, chi disonorava la corsa con atteggiamenti non idonei al ciclismo (attaccarsi a una macchina, salire su un treno di nascosto per evitare di pedalare). Ci entrarono pure i fratelli Pélissier, al tempo i beniamini del ciclismo francese, quando inscenarono una protesta contro gli organizzatori. Ci volle l’intervento del primo ministro di allora Édouard Herriot per sistemare le cose tra i due.

Con il passare degli anni non solo sparì la lista di proscrizione, ma anche la sacralità del Tour de France.

Di corridori che lo hanno lasciato per preparare altro o perché quello che dovevano vincere l’avevano vinto è lunga e comprende anche campioni. L’ultimo è Mathieu van der Poel, ieri.

Henri Desgrange non ne sarebbe stato contento, anzi si sarebbe adirato assai. Desgrange però non c’è più. Il suo credo però non è del tutto scomparso. Riappare saltuariamente, pure con una certa costanza anno dopo anno. È riapparso sempre ieri in Nicholas Dlamini, corridore della Qhubeka NextHash, nonché primo corridore sudafricano nero a disputare la Grande Boucle. “Questa è una gara speciale ed è sempre stato un mio sogno correre il Tour de France e non ho mai pensato alla possibilità di ritirarmi”, ha detto dopo essere arrivato a un’ora e ventiquattro minuti dopo il vincitore Ben O’Connor dopo essere caduto in discesa ed aver perso l’aggancio con il gruppetto, il plotone dei diseredati della montagna che nello stare in gruppo trova la forza per arrivare all’arrivo.

“È stata una tappa difficile e ci sono state delle salite dure e il tempo ha peggiorato le cose. Purtroppo ho scelto una brutta giornata per avere…una brutta giornata. Sono stato sfortunato a cadere e ho perso contatto dal gruppetto, sono rimasto da solo ed è stato davvero difficile per me tenere un buon ritmo e inseguire. Mi sarebbe piaciuto finire il Tour, è triste finire in questo modo, ma per me la cosa più importante era non fermarmi e pedalare fino al traguardo indipendentemente dal limite di tempo”, ha detto dopo la conclusione della tappa.

“Sono contento di aver finito la mia fatica anche se sono arrivato a un’ora e mezza dal vincitore: è stata una giornata dura, brutta. Vorrei davvero ringraziare tutti per il grande supporto, da quando il Tour è iniziato fino a questo punto. Proprio l’affetto dei tifosi è stato il motivo per cui volevo davvero finire la tappa e non andarmene dalla corsa. Questa è una gara che volevo onorare e insieme volevo onorare il mio sogno. Era il mio primo Tour de France, sapevo che sarebbe stato difficile, ma ho onorato quel sogno. Sono deluso, ma sono anche orgoglioso”.

Ha ben donde d’esserlo Dlamini. E non tanto per il risultato, per aver dimostrato come un corsa va onorata.